Nato nel 1970, il compositore francese Pierre Thilloy si è presto affermato in patria prima ed a livello internazionale poi per la notevole inventiva e la naturale versatilità, doti alla quali hanno contribuito i numerosi soggiorni all’estero - soprattutto in India, Asia Centrale e Medio Oriente - che hanno originato molteplici collaborazioni artistiche. Autore prolifico e dai tratti geniali, vanta già un nutrito catalogo che spazia in tutti i generi (solo in campo orchestrale, si possono contare otto grandi sinfonie e una ventina di poemi sinfonici), rientrando tra i suoi interessi anche la musica da camera e l’opera.
Nel primo di questi due ambiti abbiamo potuto scoprire, nel corso di un concerto pomeridiano del Cantiere Internazionale d’Arte di Montepulciano, uno stupendo sestetto per voce, piano e quartetto d’archi, “Ainsi soit-il ou Les jeux sont faits”: lavoro scritto da Thilloy nel 2009, ma solo ora qui presentato in prima italiana nella Sala Bellarmino. E’ una significativa composizione cameristica elaborata partendo da alcuni capoversi estratti dall’omonimo lavoro autobiografico che André Gide pubblicò nel 1950, un anno cioè avanti la morte; riflessioni intime, che propongono un sereno congedo da un’esistenza vissuta intensamente. L’esecuzione dell’emozionante brano vocale e strumentale, articolato in più sezioni che andavano da un nervoso, ipnotico ‘presto’ per approdare al contemplativo e struggente finale, si doveva al soprano Greta Komour, al Quator Magma ed alla pianista Sophie Teboul: esecutori bravissimi e veramente partecipi del grande pathos interiore del lavoro.
Ancora la scrittura di André Gide sta alla base della sua utima opera lirica “I falsari” (Les Faux-Monnayeurs), che trae spunto dal romanzo omonimo del 1925, che rivelò il genio del letterato parigino; un’opera non facile, una specie di ‘metaromanzo’ nel quale il protagonista Bernard – un alter ego dello scrittore stesso – ne costruisce man mano il testo parlandone e discutendone idealmente con il lettore. Un lavoro assai complesso, articolato su più piani narrativi e senza un vero baricentro, di per sé impossibile da tradurre integralmente in un libretto d’opera. Così, su incarico della Fondation Catherine Gide di Parigi che ha coprodotto l’operazione insieme al Cantiere d’Arte, lo scrittore Jean Pierre Prévost ha enucleato alcuni momenti cruciali del romanzo, individuando e fissando in brevi scene (nove in tutto, scandite nei tre atti) i caratteri dei personaggi principali ed i loro legami sentimentali. Ha ottenuto in tal modo un testo scarno, necessariamente un po’ frammentario, utilizzato da Pierre Thilloy per un’opera di circa un’ora; partitura dai voluti tratti cameristici, sopra tutto per l’organico chiamato in causa, e consistente in quattro voci soliste, un quartetto d’archi e pianoforte/tastiere.
«Quest’opera è un’opera aerea – spiega Guy-Pierre Couleau, demiurgo del progetto scenico di “Les Faux-Monnayeurs” – perché tutto vive nell’illusione». Ed in effetti i personaggi di Gide ci appaiono dei “falsari della vita”, in quanto mentono sia a sé stessi che agli altri, in un intreccio di sentimenti che finisce per complicarne e soffocarne l’esistenza: quattro personaggi pieni di dubbi profondi, di complicazioni esistenziali, di tragica fragilità, dall’eros vagante tra passioni etero ed omosessuali; figure insicure ed irresolute per le quali, come scrive ancora Couleau «giocare ad amare è giocare a soffrire, e far soffrire intorno a loro è una crudeltà falsamente innocente». Non a caso, infatti, «Ma qual è la parte migliore di me? Ci ho pensato tutta la notte senza trovare risposta», conclude amaramente (oppure solo cinicamente?) alla fine il giovane Bernard.
Quanto alla musica di Thilloy, intrigante pur nel voluto parco uso di mezzi, riesce a dipanare e descrivere a perfezione questo groviglio emozionale, grazie ad una partitura dove troviamo accortamente mischiato un po’ di tutto, suoni e voci ed inserti visivi; sul palcoscenico del Teatro Poliziano abbiamo così incontrato un prodotto multimediale molto raffinato e coinvolgente, dove la musica acustica degli archi e del piano, costruita con criteri essenziali ma non troppo minimalistici, viene talora sostenuta da sequenze elettroniche preregistrate, e in un paio d’occasioni sostituita da esse - come nell’astratta sequenza video che funge da sorta d’intermezzo - realizzando un’equilibrata fusione/interazione sonora tra le varie componenti. Alle quattro voci soliste è affidato il compito narrante, e per questo Thilloy adotta per esse un declamato/arioso asciutto ed efficacissimo, idoneo ad esprimere appieno i singoli caratteri: ed erano il soprano Mèlanie Moussay (Laura/Sarah), il tenore Louis-Héol Castel (Bernard), il giovane baritono Sylvain Kuntz (Olivier) ed il basso Fernand Bernardi (Edouard), interpreti adeguati ed affiatati. Gli strumentisti erano anche in questo caso il Quator Magma (Stéphane Rougier, Serge Sakharov, Boris Tonkov, Alexander Somov) e la pianista Sophie Teboul. La direzione musicale era affidata a Vincent Monteil, che ha coordinato sapientemente tutte le componenti dello spettacolo.
Come accennato, la drammaturgia e la messa in scena de “Les Faux-Monnayeurs” è stata il compito, già in premessa assolutamente non facile, di Guy-Pierre Couleau (direttore della Comédie de l’Est con sede a Colmar in Alsazia, realtà culturale che l’ha coprodotto con il Cantiere). Diamogli atto di aver lavorato con molta intelligenza, offrendo uno spettacolo sobrio, essenziale, intensissimo, preparato con meticolosa cura e fatto recitare con passione. Molto ha contribuito la perfetta integrazione con gli apparati audiovisivi pensati e realizzati da François e Vincent Guillou (componenti del gruppo di sound design Kords), proiettati davanti e sullo sfondo della scena; e con le luci di Pietro Sperduti. Laurianne Scimemi ha pensato abiti essenziali per tutti, ed una scena unica, disperatamente vuota, una specie di grande portale spalancato sull’animo dei protagonisti. Grande teatro, grande musica.