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I GIGANTI DELLA MONTAGNA

Vetrano e Randisi: l'arte che non urla

Vetrano e Randisi: l'arte che non urla

Enzo Vetrano e Stefano Randisi hanno raggiunto il culmine di un percorso iniziato  nel 1999 con Il berretto a sonagli, proseguito con L’uomo, la bestia e la virtù Pensaci, Giacomino! approdando e  I giganti della montagna l'ultima pièce di Pirandello, notoriamente rimasta inconclusa, che i due attori-registi mettono in scena con una chiarezza formale davvero esemplare acquisita in dieci anni di frequentazione pirandelliana.
Ultimo mito, cioè racconto di fantasia avulso da un preciso contesto storico sociale che Pirandello aveva intrapreso negli ultimi anni della sua attività di drammaturgo I giganti della montagna è il racconto della sconfitta dell'arte incapace ormai di farsi ascoltare dal mondo. Un'arte che sembra essersi autoreclusa nell'arte per l'arte proprio come ha fatto il mago Crotone e i suoi scalognati rifugiati in un'isola remota dove è situata Villa Scalogna. Una villa magica abitata da degli spiriti che danno forma e ai sogni e alle fantasie dei suoi abitanti (anche tramite suoni e luci impiegati per tenere lontani gli intrusi) che nelle mani del mago Crotone diventano strumento per dire la verità inventandola (ho sempre inventate le verità, caro signore! e alla gente è parso sempre che dicessi bugie. Non si da mai il caso di dirla, la verità, come quando la s'inventa dice Crotone al Conte.
Un luogo dove non solo i sogni diventano rappresentazioni realistiche ma dove dei fantocci prendono vita dallo spirito dei personaggi inventati dal poeta (in una messinscena che si richiama da vicino a La classe morta di Kantor).  E il miracolo vero spiega Crotone  non sarà mai la rappresentazione, creda, sarà sempre la fantasia del poeta in cui quei personaggi son nati, vivi, così vivi che lei può vederli anche senza che ci siano corporalmente.
Un'ottica Crociana che vede l'autore (il poeta) come vero creatore dell'opera e mai chi si imita a metterla in scena*.
Ma il teatro, l'Arte, non possono bastare a se stessi e la Contessa, un'attrice giunta con i resti della compagnia cui l'allestimento dell'opera in versi La favola del figlio cambiato (il cui autore si è suicidato per amore della contessa stessa) ha mandato alla rovina, non si accontenta di recitare per gli ospiti della villa.
Il teatro ha bisogno di un pubblico non può esser autoreferenziale. Questa convinzione rimane il sintomo di una sanità mentale che la Contessa non sempre sembra possedere (colpita dalla storia interpretata ne La favola del figlio cambiato, la contessa è persuasa che quel racconto sia vero e la riguardi direttamente).
Crotone ha allora l'idea di far recitare la compagnia per i Giganti (Non propriamente giganti, signor Conte, sono detti così, perché gente d'alta e potente corporatura, che stanno sulla montagna che c'è vicina spiega Crotone)  il cui assordante arrivo terrorizza tutti.
E la commedia, incompleta, finisce qui,  con l'orda di Giganti che fa tremare le pareti. Una metafora agghiacciante anche per le sue implicazioni contemporanee.
I giganti metafora degli uomini moderni (contemporanei di Pirandello) smepre meno attenti all'arte, ma come orda il cui arrivo fa tremare le pareti della villa  metafora di una classe dirigente come quella italiana di oggi che ci governa applicando continui tagli alla cultura (contro i quali si sono garbatamente levati dopo lo spettacolo i due registi attori) che pongono fine al Teatro. Al teatro Valle in particolare la cui stagione in corso, magnifica, ricchissima, è l'ultima allestita dall'ormai cancellato ETI.
Pare che Pirandello nel terzo atto, quello che non riuscì a scrivere, morendo prima, facesse morire la Contessa per mano dei servi dei Giganti colti dall'ira per non capire quel che la compagnia andava recitando per loro come ha raccontato il figlio Stefano.
L'allestimento di Vetrano e Randisi è magnificamente sobrio, nei costumi vicini all'epoca in cui la commedia è stata scritta, sottraendosi a tentazioni moderniste,  con una recitazione ineccepibile  (e una sorpresa nel finale che non riportiamo per non sciuparla). Una messinscena fatta insomma con tutta l'umiltà che solo la vera arte possiede. L'arte che non urla non si impone con la prepotenza ma conta sulla forza della verità. Finché ci sarà qualcuno disposto ad ascoltare.


*CROTONE Tradurli in realtà fittizia sulla scena è ciò che si fa comunemente nei teatri. Il vostro ufficio.
SPIZZI  Ah, lei ci mette allora a paro di quei suoi fantocci là?
COTRONE  Non a paro no, mi perdoni; un po' più sotto, amico mio.

Visto il 16-03-2011
al Valle Occupato di Roma (RM)