Grottammare (AP), teatro delle Energie, “I Karamazov” da F.M. Dostoevskij
I KARAMAZOV A TEATRO
I fratelli Karamazov è l'ultimo romanzo di Dostoevskij, rimasto incompiuto e da molti considerato il vertice della sua produzione. Certamente per contenuto ideologico e struttura artistica è il suo romanzo più complesso, sintesi delle ricerche e delle contraddizioni di tutta una vita: un trattato sulla fede e sull'ateismo, sulla passione e sull'amore, sulla gioia e sulla sofferenza. In questa molteplicità, tuttavia, emerge un tema che attraversa le pagine: lo scontro tra la via della ragione e la via della fede.
Lo spunto viene fornito da fatti realmente accaduti, un parricidio e un errore giudiziario, con la netta la condanna della pena di morte: “ma l'uomo, guardando l'altro, come può decidere chi può vivere e chi no?”. Il parricidio non è contemplato quale fatto delittuoso in sé ma come espressione di un male oscuro, personale, familiare, sociale, della Russia di fine Ottocento e dell'umanità in genere. Questo male oscuro si esprime anche nella difficoltà/impossibilità di relazionarsi con gli altri, soprattutto con quelli che ci stanno vicino. E questo è uno dei temi di maggiore attualità (basti pensare ai rapporti odierni virtuali, filtrati dall'internet).
Vertice del romanzo è la leggenda del Grande Inquisitore, dove Ivan immagina che, dopo quindici secoli, Gesù torni in Spagna, terra dominata da roghi accesi in suo nome dalla Santa Inquisizione. Il Grande Inquisitore, un vecchio novantenne, lo fa imprigionare con l'intenzione di bruciarlo come eretico; turbato però da quella presenza, nella notte si reca da Lui e lo interroga a lungo sul valore della libertà per l'uomo. L'inquisitore vorrebbe una risposta da Gesù, a cui imputa di avere agito come se non amasse affatto l'uomo, ma Lui gli si avvicina in silenzio e lo bacia piano sulle labbra esangui. Senza parlare. È quella la sua risposta. Il vecchio spalanca la porta e lo caccia: “vattene e non venire mai più, mai più!”.
Dice Ivan (egli nel romanzo è il narratore della leggenda, nonché l'agitatore dei temi dell'Amore e della Libertà, scettico assetato di fede e al tempo stesso negatore di Dio): “debbo farti una confessione; non ho mai potuto capire come sia possibile amare la gente che ci sta vicino. È precisamente tale gente che non è possibile amare, forse chi ci sta lontano sì. (...) Per amare un uomo bisogna che resti nascosto, perchè, quando mostra il suo volto, cade l'amore. (...) Tu vuoi andare nel mondo e ci vai a mani vuote, con la promessa di una libertà di cui gli uomini, nella loro semplicità e nel loro disordine innato, hanno terrore, perchè nulla è mai stato più intollerabile per l'uomo e per la società umana della libertà”.
Romanzo fluviale e denso di percorsi logici, è difficile, se non impossibile una sua riduzione teatrale. Notevole la prova di Ronconi per lo Stabile di Roma negli anni Novanta, praticamente una lettura scenica divisa in due parti dove emergeva la struttura profonda del testo fatta di contraddizioni e interiorità ed era bene evidenziata la polifonia di voci e di coscienze indipendenti e disgiunte.
Ora ci prova Marinella Anaclerio con la collaborazione di Doriana Leondeff con un risultato unitario dal punto di vista del plot ma poco coinvolgente perchè non ha la tensione dialettica e lo spessore ermeneutico delle dispute del romanzo, non riuscendo a rendere con precisione i momenti psicologici dei personaggi coinvolti nel dramma.
L'ambientazione è a-temporale e a-spaziale: velature chiudono sui tre lati il palcoscenico, al centro una struttura circolare tipo tenda che, sollevandosi, rivela uno spazio che assume via via connotati diversi (scena di Pino Pipoli). Nella seconda parte la tenda lascia il posto a uno spazio vuoto e fisso; nella terza una gabbia circolare domina il palcoscenico. Un ramo secco spunta dalla quinta in proscenio a sinistra come una mano protesa.
I costumi di Stefania Cempini (da un'idea di Ursula Patzak) rimandano comunque alla Russia per i foulard delle serve e alla fine dell'Ottocento per il taglio delle gonne.
Tutto comincia con lo stupro di Fedor Karamazov ai danni di una poveretta con evidenti problemi mentali e relazionali, invero un flash-back a cui assistono i quattro figli di Fedor, compreso il frutto dello stupro, quello Smerdijakov trattato come un servo ma fondamentale per la vicenda. Per introdurre gli spettatori nel plot viene tratteggiata la storia dei Karamazov, esagerati e lussuriosi: il padre protervo, irrispettoso e violento, e i tre figli legittimi, Ivan (che da subito disserta su chiesa e stato a proposito dei tribunali ecclesiastici), Alekseij in veste monacale (credente e fiducioso in Dio ma convinto che sia la fede a generare il miracolo: “l'uomo non vuole Dio, vuole i miracoli”) e Dmitrij, il ribelle. Nel corso dell'incontro nel monastero emergono i contrasti familiari (“un rettile divorerà l'altro”). Il racconto evoca momenti passati che si intrecciano all'andamento presente della vicenda, in cui i Karamazov implodono, si distruggono da soli trascinandosi dietro gli altri.
La prima parte si chiude con la rinuncia di Alekseij all'abito monacale. Dopo l'intervallo il monologo di Dmitrij è praticamente privo di pathos in quanto si svolge mentre il pubblico, rumorosamente, rientra nelle poltrone. E invece è un momento fondamentale: Dmitrij si interroga se basta l'intenzione per essere definito parricida, o reo in generale. E l'interrogatorio che ne segue amplifica i suoi irrisolti (e irrisolvibili) dubbi.
La terza parte ha l'andamento tortuoso della confessione di Smerdijakov e del processo contro Dmitrij a cui sottende il discorso su fede ed esistenza di Dio, solo rilevati superficialmente e brevemente, prima della statuizione che “ogni uomo contiene il Bene e il Male, entrambi abissi sopra e sotto di noi”. Impossibile è giudicare, impossibile è condannare.
Fra i numerosi interpreti si è segnalata Carla Guido. Evidenti problemi alle luci e alle musiche impediscono di riferire sui loro contributi alla messa in scena, salvo rilevare scelte amplissime dal punto di vista musicale (dal coro della Butterfly alle musiche folkloristiche russe) e il tentativo delle luci di definire gli ambienti nel vuoto scenico.
In platea moltissimi studenti delle scuole superiori. Un errore. Lo spettacolo è stato un modo per allontanarli definitivamente (e senza appello) dal teatro e dalla lettura: il loro atteggiamento annoiato e il continuo rumoreggiare hanno disturbato gli altri spettatori e rivelato il loro interesse inesistente alla recita e la costrizione ad assistervi per le cinque ore di durata. Coloro che si sono trattenuti fino alla fine hanno applaudito generosamente.
Visto a Grottammare (AP), teatro delle Energie, il 10 febbraio 2010
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Kursaal Sala Comunale
di Grottammare
(AP)