Parma, teatro Regio, “I Lombardi alla prima Crociata” di Giuseppe Verdi
L’ATTUALITA’ DEI LOMBARDI
I Lombardi alla prima crociata è opera del Verdi “risorgimentale”, paradigmatica per il Risorgimento italiano: negli anni Quaranta dell’Ottocento si voleva Milano libera dagli Austriaci ed il pubblico si identificava con quei crociati che nel medioevo combatterono per liberare Gerusalemme dai musulmani. L’apertura di stagione del Regio di Parma coincide con una nuova guerra fra israeliani e palestinesi nella Striscia di Gaza, le cui immagini di sangue e morte riempiono tv e giornali. Così il grido di dolore di Giselda è terribilmente attuale: “No!... giusta causa - non è d’Iddio / la terra spargere - di sangue umano. (…) No, Dio nol vuole! (…) Ei sol di pace - scese a parlar!”. Che altro aggiungere?
L’allestimento di Lamberto Puggelli è del Festival Verdi 2003 ma non superato nei contenuti, basato sul credo che ogni popolo deve essere libero dalle tentazioni di aggressione e vivere in pace e tolleranza, rispettando le altrui sensibilità, anche religiose. Così non è in primo piano l’ideologia risorgimentale a vantaggio di un’esortazione per la libertà non solo del Santo Sepolcro e di Gerusalemme, ma per cristiani, musulmani ed ebrei, un valore laico, la libertà, sempre attuale. In questi giorni ancora di più.
Il primo atto appare come una sorta di flashback: Giselda è in proscenio, turbata, ricorda il dramma, assiste a una serie di scene che appaiono dal buio, estranea rispetto al contesto, separata dagli altri personaggi da un velatino. Il regista ambienta la rappresentazione in una realtà non datata, eterna: sullo sfondo un “muro del pianto”, ai lati specchi (scene Paolo Bregni, costumi Santuzza Calì, luci Andrea Borelli). Sul muro vengono proiettate immagini che contestualizzano le scene: il cantiere per la costruzione della basilica di Sant’Ambrogio a Milano, rovine di una città romana in medioriente, il deserto, una roccia tagliata (il Siq di Petra), una cupola dorata, un interno in pietra bicolore e archi a tutto sesto. Ma anche immagini metaforiche, allusive: Guernica di Picasso e foto in bianco e nero di guerra e morte. Infine effetti di colore che esprimono i sentimenti dei protagonisti. Pochi gli oggetti di scena, un gelso senza foglie, tappeti, due lampadari, bacili ed anfore. Il regista propone agganci con il Novecento per rendere l’idea di una sofferenza senza tempo, che si perpetua inalterata (ebrei in abiti contemporanei pregano al muro del pianto). Le masse appaiono statiche per lo più, i cantanti sono spesso spostati in proscenio, con buon effetto di proiezione delle voci. La regia nella gestualità resta fedele al libretto, consentendo di seguire bene l'azione che si svolge. Nel finale il palco è pieno di cadaveri, che poi si rialzano nel momento in cui il muro di fondo si apre rivelando Gerusalemme avvolta da luce abbacinante bianca: si abbracciano tutti, cristiani, musulmani ed ebrei, tutti, ieri ed oggi, speriamo sempre.
Il direttore Daniele Callegari ha dato una lettura intelligente, pulita, mai scontata, una lettura attenta e controllata senza essere tellurica, anzi sorvegliata, capace di rendere il “sangue” della partitura con estrema finezza; gli accompagnamenti sono ben bilanciati, ha lavorato tantissimo con l’orchestra del Regio, arrivando a un ottimo risultato, come le cesellature nei passaggi dei solisti (su tutti il bell’assolo di violino nel terz’atto di Michelangelo Mazza).
Il coro in questa opera ha un ruolo determinante e Martino Faggiani lo ha ottimamente preparato, sia nelle scene guerresche che in quelle più intime: “O Signora dal tetto natìo” è stata eseguita impeccabilmente (il pubblico, peraltro molto plaudente, non ha richiesto il bis).
Adeguato il cast. Dimitra Theodossiou porta a termine un ruolo temibile, frequentato spesso (recenti a Firenze e Napoli) con voce solida ed acuti impetuosi, una Giselda determinata e coraggiosa: sublime è il terzetto finale, sia vocalmente sia nella posa che si rifà alla statuaria greca classica. Michele Pertusi è un cantante di grande classe, lunga capigliatura nel primo atto, glabro e con l’occhio coperto alla maniera piratesca nel prosieguo; temibile nel ruolo del malvagio Pagano, accattivante in quello del benefico Eremita. Francesco Meli, giovanissimo, è un Oronte di riferimento, voce limpida e corposa, acuti squillanti, fraseggio morbido ed espressivo. Una sorpresa l’Arvino di Roberto De Biasio, bella voce usata al meglio in un ruolo difficile pur non essendo protagonista. Bene i comprimari: Cristina Giannelli (Viclinda), Roberto Tagliavini (Pirro), Gregory Bonfatti (Priore), Jansons Valdis (Acciano) e Daniela Pini (Sofia).
Teatro tutto esaurito, pubblico elegantissimo per la serata inaugurale della stagione; tanti applausi nel corso della recita ed alla fine quindici minuti di battimani con lanci di fiori ed ovazioni. La serata, iniziata in leggero ritardo come da tradizione a Parma, si era aperta con la lettura di un comunicato sindacate delle lavoratrici e dei lavoratori del teatro per ringraziare il pubblico e favorire un tavolo di confronto con il Ministero sulla riforma legislativa del settore e sull’entità dei tagli al FUS.
Un valore aggiunto per Lombardi a Parma è che Verdi dedicò l’opera a Maria Luigia, illuminata sovrana che volle la costruzione del teatro Regio: un cerchio che si chiude.
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto a Parma, teatro Regio, il 13 gennaio 2009
Visto il
al
Regio
di Parma
(PR)