I MASNADIERI DI LUISOTTI

I MASNADIERI DI LUISOTTI

Composta a trentaquattro anni per l’Her Majesty’s Theatre di Londra, “I masnadieri” (1847) è tra le opere meno note e meno eseguite di Giuseppe Verdi. Il libretto, che reca la firma illustre di Andrea Maffei, è segnato da un faticoso affastellamento narrativo, esito di una ‘riduzione’ laboriosa e imperfetta (la fonte è “Die Räuber” di Schiller, 1781). In esso la preziosità del lessico e l’impacciata ampollosità sintattica convivono con toni cupi e talvolta grotteschi, ma da tale mistura il compositore di Busseto seppe trarre felici spunti espressivi e drammatici per costruire pagine di notevole efficacia e di grande bellezza. “I masnadieri” venne data per la prima volta al San Carlo di Napoli nel 1849, e suscitò critiche severe soprattutto per il soggetto, tacciato di immoralità e considerato come un vero e proprio incitamento a delinquere. Dopo 163 anni la non facile creazione verdiana è tornata sul palcoscenico del massimo teatro partenopeo in un nuovo allestimento in coproduzione con la Fenice di Venezia.
Grande era l’attesa per la regia di Gabriele Lavia, che si può considerare uno ‘specialista’ del testo di Schiller (del quale è stato regista e interprete principale già nel 1982 e di nuovo nell’attuale stagione teatrale) e che si era già cimentato nell’allestimento dei “Masnadieri” di Verdi nel 1986 a Pisa. Purtroppo l’esito non ha corrisposto alle aspettative, in quanto la gestione dei movimenti collettivi e dei gesti individuali è apparsa assai convenzionale e povera di idee. Discutibile anche l’impatto visivo dello spettacolo: la scena fissa (di Alessandro Camera) evoca uno stato di emarginazione e di degrado attraverso muri ricoperti di graffiti, detriti e foglie morte; solo pochi dettagli marcano simbolicamente il mutare dei contesti (all’inizio del secondo atto, ad esempio, Amalia si genuflette davanti a una croce scheletrica calata dall’alto, che riduce all’osso l’ambientazione prescritta da Maffei: «Recinto attiguo alla chiesa del castello. Vi sorgono in disparte alcuni sepolcri gotici. In uno recente è scolpito il nome di Massimiliano Moor»). Inutilmente distonici rispetto alla cornice ‘contemporanea’ risultano i costumi di Andrea Viotti, incerto tra le fogge tardo-ottocentesche dei protagonisti, l’aria da gangster dei masnadieri e il punk dei convitati di Francesco.
Buona invece la prestazione dei cantanti, il tenore Stefano Secco (Carlo), il baritono Vladimir Stoyanov (Francesco) e il basso Deyan Vatchkov (Massimiliano). Olga Mykytenko, che ha sostituito l’indisposta Lucrezia Garcia, ha reso l’impervio ruolo di Amalia con precisione e agilità. A completare il cast Walter Omaggio (Arminio), Dario Russo (Moser) e Massimiliano Chiarolla (Rolla). Il vero protagonista della serata, tuttavia, è stato il maestro Nicola Luisotti, nuovo direttore musicale del San Carlo. La sua è una conduzione energica, serrata, incisiva, non esente da qualche platealità nel gesto e negli effetti, ma senz’altro adattissima alla pulsazione del giovane Verdi e capace di guidare gli strumentisti del San Carlo in una navigazione sicura e generosa. Un plauso merita anche il coro, diretto da Salvatore Caputo, chiamato spesso in causa dalla partitura soprattutto per rappresentare l’aggressiva irruenza dei masnadieri.