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I MASNADIERI

I masnadieri: in scena i titani di Lavia

I masnadieri: in scena i titani di Lavia

Il riallestimento del capolavoro schilleriano che ci regala Lavia è potente, titanico. Via ogni ciarla ipocritamente struggente e languida, via ogni pomposità retorica. Non c’è spazio per uno pseudo-romanticismo addomesticato. Ciò che ci viene restituito è il vero, tormentato spirito romantico. E’ lo spirito di un poeta ventenne. E’ lo spirito di un’epoca. Un tempo lontano, eppure così presente nelle nostre anime. Sulla scena prende corpo un’opera “Giovane”, intessuta di tutti i sogni e le tragedie di quella pericolosa età in cui ogni slancio ideale è Vita, ogni offesa e delusione è Morte. Perché i giovani sono angeli o demoni. Più spesso sono entrambe le cose. E i “masnadieri” di Lavia, con la loro fame di libertà,  più che briganti delle selve boeme sembrano piuttosto una banda di ribelli underground, di metallari arrabbiati, di giovani anarchici. Incarnano la violenza senza controllo di tanti giovani d’ogni tempo, di vite senza nome, senza voce che vorrebbero “saltare il fosso”, ma nell’impossibilità di realizzarsi si chiudono in una brutale aggressività fatta di stordimento, di razzie, di sangue: “O libertà o morte!”
E giovani sono anche Franz e Karl, il demone e l’angelo, il vile e l’eroe … ma in base a quale legge morale l’umiliato fratello storpio è più colpevole del prediletto primogenito, angelo vendicatore, assassino fra gli assassini? Sono le due facce, la sublimità e l’orrore, delle “anime belle” ribelli a Dio, alla Legge, al Destino.
Francesco Bonomo impersona la diabolica e ferita personalità di Franz donandogli una fisicità sconvolgente da satiro, muovendosi come un padrone sulle assi del palcoscenico, guadagnandosi più di un applauso a scena aperta. Ossesso “fool” messaggero di inconfessabili verità, di denunce antifrastiche sulla meschina prepotenza dei rapporti umani, le sue parole vengono scagliate con sarcasmo e disprezzo su un’attonita platea. Parole amare, attuali, eterne. Sul finire del secolo dei Lumi, dei patti sociali e della morale kantiana, emerge rabbiosa la condanna di una società che è solo prevaricazione, di una coscienza tagliata su misura per la comodità dei singoli, dei potenti. Lo sdegno di Schiller ci colpisce oggi come non mai.
Opposto a Franz, il fratello Karl, lo splendido angelo caduto, prima massimamente amato, poi maledetto dal suo stesso padre. L’angelo vendicatore dalle mani sporche di sangue, latore massimo di morte fra tutti i personaggi dell’opera. Mentre la mente mefistofelica del fratello lavora, delitto su delitto, per costruirsi un regno di autorità e terrore, Franz, il bel portatore di luce, con ogni suo gesto sprofonda in una distruzione senza possibilità di redenzione. La vendetta, l’ira, la  ribellione infine lo conducono a distruggere ciò che, assieme alla libertà, c’è di più importante per l’animo romantico: l’amore. Struggente l’interpretazione del giovane Simone Toni, imponente, delirante e affannato, capace di dar risalto alle luci e alle ombre di Karl von Moor.
Innamorata e amata, dolente creatura, Amalia viene interpretata dall’appassionata Cristina Pasino. Con una fisicità fresca ed una personalità energica, l’attrice allontana ogni stereotipo femminile, passivo e delicato, dal personaggio di Amalia donandole una personalità forte ed una intensa tragicità.
Grazie all’alta coscienza umana di Lavia, direttore del Teatro di Roma, questo capolavoro della letteratura preromantica viene oggi rivissuto come un’opera scandalosamente forte. In equilibrio quasi sempre perfetto fra rispetto dell’autore e oculato adattamento alla contemporaneità, la regia rende vivo oggi come un tempo il tragico abisso che avvolge il pubblico mentre, insieme ai protagonisti, precipita verso il nefasto epilogo. La messa in scena è affidata  nella quasi totalità ad un gruppo di giovani attori di eccezionale bravura che con la loro esuberanza artistica, con una recitazione scattante ed un’interpretazione di “carne e sangue” conservano del testo l’originale, disperata rivoluzionarietà.
Contribuiscono all’intensa suggestione le scene di Alessandro Camera: sottili colonne sormontate da accecanti fari, simili a mille occhi che scrutano, ci trasportano nella buia foresta di Boemia. Sentiamo la consistenza, l’odore della terra che ricopre il palcoscenico. Terra. Polvere calpestata. Ben poco diversa è l’esistenza dell’uomo secondo la nichilista visione di Franz. Uccidere, distruggere … perché? Per quel trono solitario, lì, sulla destra, che ci appare così sguarnito, nudo sulla nuda, sterile terra.
Le luci ipnotiche, allucinate di Simone De Angelis collaborano al violento impatto emotivo che sommerge lo spettatore assieme alla potente colonna sonora di Franco Mussida.
Sapiente l’uso del microfono “a gelato” per alcuni monologhi dei protagonisti, isolati sul proscenio: effetto apparentemente straniante, contribuisce a creare un diaframma fra la realtà degli eventi e l’indicibilità dell’anima. Quando la voce di Karl, o di Franz o della bella Amalia diventa monologo, la loro solitudine sofferta diventa una voce insinuante che, contemporaneamente meccanica e viva, penetra nelle viscere dello spettatore come una coscienza espansa, resa percepibile dalla poesia della parola. In particolare la rabbia, i sogni infranti del figlio ripudiato e della sua amata diventano melodia, le loro voci si sciolgono nel canto accompagnato dalla chitarra richiamandoci immediatamente alla memoria quelle belle, dolorose figure di cantanti-poeti come Jim Morrison o Kurt Cobain.
La tensione scenica viene mantenuta fino al termine con uno stile ora grandioso, ora grottesco,ora allucinato. Il furore poetico di Schiller e la recitazione potente dei giovani attori preparano un finale che lascia letteralmente senza respiro la platea. Raramente si sente un tale, sacro, silenzio ammantare la platea, tutti gli sguardi fissi, occhi sbarrati. Qualche lacrima perfino. Tutto finisce. Un eterno istante di sospensione. Poi lo scrosciare degli applausi. Giudicare razionalmente questo spettacolo non è facile. Bisogna solamente sedersi, prepararsi alle luci che si abbassano, tacere, e lasciarsi trascinare da queste grandi, folli passioni.

 


 

Visto il 28-01-2012