Prosa
I MASNADIERI

Tempi Moderni. I masnadieri.

Tempi Moderni. I masnadieri.

E’ un po’ un azzardo l’ultimo lavoro di Gabriele Lavia e del Teatro di Roma: riportare in scena quell’opera che ormai 30 anni orsono divenne storica proprio per la sua interpretazione e quella di Umberto Orsini, in un chiave semi-moderna, riletta alla luce dell’oggi con un gruppo di giovani e sconosciuti attori.
E’ ovvio fin da subito che la percezione dello spettatore medio ( che sicuramente ha vissuto l’esperienza unica dell’adattamento teatrale del 1982) sarà di uno straniamento assoluto, ma forse il pubblico al quale il regista vuole indirizzarsi in quegli anni ancora non sapeva cosa fosse un Masnadiere e tantomeno cosa fosse il Teatro. Perché l’adattamento del 2012 strizza, abbastanza pesantemente, l’occhio a tutto l’immaginario Pulp della cinematografia Tarantiana e dei suoi simili, con i briganti ( i masnadieri appunto ) alla ricerca della libertà anche attraverso la violenza e il crimine, dall’abbigliamento e dall’atteggiamento assolutamente metropolitano, lontano però dai Guerrieri della Notte e a volte simile all’animo rivoluzionario dei figli dei fiori e dei sessantottini, con le loro chitarre ( acustiche ) e le pistole, sempre cariche.
Il figliol quasi-prodigo Karl si è allontanato dalla retta via e dalla nobile vita che gli era stata promessa dal padre, ed ha scelto di diventare un fuorilegge, uccidere, saccheggiare, violentare e colpire innocenti anime solo per l’immaturo desiderio di libertà e perché una volta sgarrato non si torna indietro. Nemmeno l’amore per la giovane Amalia lo fa tornare sui suoi passi, anzi. E lei, che sembra chiusa nel palazzo dei Moor, ha l’aspetto della giovane protagonista della saga nordica di Millennium, poco consono ad una dama di corte, rockettara e ribelle. Costretta a subire le angherie del perfido Franz, fratello di Karl che la natura non ha donato di grazia e bellezza; è uno storpio, un evil malvagio ed esteticamente repellente, che però sulla scena, per ovvi motivi, anche pensando ai riferimenti artistici ( Iago e Riccardo III in primis ) vince il confronto con l’altro protagonista, vittima di una recitazione spasmodica ed eccessivamente patetica.
L’aspetto di Karl somigliante a quello del Gesù iconografico/filmico, così come la presentazione del gruppo dei Masnadieri come i quasisempre fedeli apostoli non trova riscontro nella trama che poco ha a che fare con un percorso di umanizzazione e buoni sentimenti, o le parabole dell’eroe.
Restano credibili le scene all’interno del palazzo dei Moor mentre, nonostante l’ottimo impianto scenografico con le luci ed i rispettivi sostegni a fungere da alberi della fitta boscaglia, rischiano di perdere di significato quelle di gruppo, con i 13 personaggi disomogenei e talvolta sopra le righe.
Lavia non c’è ma la sua impronta/personalità è fortemente presente, e rischia di risucchiare l’intero progetto.

Visto il 10-02-2012
al Del Giglio di Lucca (LU)