I MISERABILI - La Recensione. Uno spettacolo piacevolmente scorrevole dove emerge la grande presenza scenica di Franco Branciaroli, con la regia di Franco Però e adattamento teatrale firmato da Luca Doninelli.
“Un fiume in piena, di cui noi restituiremo un’onda o poco più”: con questo spirito il regista Franco Però si è accostato all’adattamento teatrale, firmato da Luca Doninelli – il secondo per il palcoscenico dopo il musical di Boublil & Schönberg, che da 33 anni regna incontrastato sul West End londinese – del romanzo di Victor Hugo, considerato patrimonio dell’umanità: I Miserabili.
Sarà anche vero che questo best-seller di 1500 pagine (quasi) nessuno lo ha mai letto per intero, ma l’operazione compiuta da Doninelli, per quanto coraggiosa, non sembra avere la portata di un fiume, quanto quella di un rivolo d’acqua, che scorre piacevolmente, ma senza particolare impeto, sotto gli occhi del pubblico.
Le barricate “apri e chiudi"
La saga del generoso galeotto Jean Valjean, simbolo universale del riscatto dei reietti dell’umanità – i miserabili, appunto – in questo adattamento risulta ridotta ai minimi termini, concentrandosi sul percorso di redenzione del protagonista e, di conseguenza, relegando in un angolo l’epico affresco storico-politico che accompagna la vicenda.
L’allestimento procede per quadri, inseriti in una scenografia essenziale e modulare, pensata da Domenico Franchi, in un’originale ottica “apri e chiudi”, che richiama lo scorrere delle pagine di un libro. Un risultato funzionale, che tuttavia sembra penalizzare perfino l’unico momento corale dell’allestimento: la scena delle barricate, che risente di una certa mancanza anche materiale, diminuendo l’effetto rivoluzionario che viene mantenuto esclusivamente dalla veemente interpretazione di Enjolras (Andrea Germani). e dall’iconica presenza di Gavroche (impersonato in maniera esemplare da Silvia Altrui) che sventola la bandiera francese, prima di essere colpito a morte.
I costumi di Andrea Viotti descrivono minuziosamente l’epoca in cui è stato scritto il romanzo, con una forza evocativa che rende i temi affrontati ancor più trasversali nel tempo.
Ogni personaggio ha il suo romanzo
Se l’adattamento teatrale non sembra aver vinto la sfida di restituire al pubblico con la giusta dose di pathos quello che il palcoscenico non è in grado di raccontare, va detto però che dallo spettacolo emerge un evidente lavoro di approfondimento psicologico sulla maggior parte dei personaggi, ognuno dei quali vive il proprio romanzo. Un aspetto che si nota fin dalle prime battute del personaggio del vescovo Myriel (Alessandro Albertin), ma soprattutto nella fredda e compassata caratterizzazione di Javert, compiuta da Francesco Migliaccio, che raggiunge il culmine del proprio tormento interiore nel suo toccante monologo finale.
Affiancato dalla Compagnia dello Stabile friulano, protagonista assoluto resta Franco Branciaroli, con il suo istrionismo messo al servizio di un’interpretazione che racconta impetuosamente il personaggio di Valjean, privandolo tuttavia di un’adeguata immedesimazione (a differenza di altre prove d’attore affrontate recentemente in Servo di scena e Il teatrante).
Uno spettacolo, tutto sommato, piacevolmente scorrevole, sul quale le aspettative risultano forse troppo elevate e in cui l’unica componente monumentale è la presenza scenica di Franco Branciaroli.