Un giovane impiegato sogna una ragazza. La vediamo nello spazio, come se la immagina lui, coi piedi su un "pianeta" poco più grande di lei. Una intima fantasia del giovane che non riesce a nemmeno a evocare tutte le volte. Lo vediamo sforzarsi invano a ritrovare quell'immagine, ogni giorno che arriva in ufficio e non riesce ad avere coi colleghi altro scambio che non sia lavorativo.
Solo l'arrivo di due personaggi stravaganti, il maestro di sogni e la sua aiutante, bizzarramente vestiti e dalla parlata altrettanto buffa, lo costringono a raccontare e confessare di un amore perso, di un ménage con una ragazza che deve essersi concluso male perchè, ora, il giovane, è solo.
Poi, di fronte al pudore dei sentimenti che traspaiono dal suo racconto, ecco che la aiutante lo spoglia e lo veste con abiti vagamente orientali e il giovane, così trasformato, inizia un cammino d'esperienza.
Compare in scena la donna che, all'inizio, il giovane si immaginava nello spazio. Una donna che il giovane percepisce come un fiore, unico nel suo piccolo pianeta, che però la delude, assai repentinamente, inducendolo a partire per un viaggio che lo conduce da un pianeta all'altro. Il giovane incontra re, impiegati, geografi, controllori di treni, finché arriva sulla Terra dove parla con un serpente e una volpe, e poi scopre un campo di fiori tutti uguali a quello che ha lasciato sul suo pianeta. Dalla delusione di avere scoperto che quel fiore che credeva fosse essere unico in realtà è uguale a molti altri lo solleva la volpe la quale gli spiega come il tempo perso a curare il suo fiore lo ha reso diverso da tutti gli altri.
Così il giovane osa immaginarsi accanto alla donna abbracciato a lei sullo stesso pianeta.
I due buffi personaggi che hanno sostenuto il viaggio del giovane impersonando ogni suo incontro ripristinano l'ufficio nel quale il giovane sembra tornare alla stessa routine di sempre finché, non resistendo più, si ribella e scompagina le pratiche alle quali stava lavorando. Poi sembra cadere esanime e allora incontra anche nella vita da impiegato la donna delle sue fantasie.
La storia è quella del Il piccolo Principe di Antoine de Saint-
Del plot del racconto originale Francesco Piotti interviene sostanziosamente modificando incipit (l'incontro tra l'autore atterrato col suo aereo in avaria nel deserto e il Piccolo principe) e il finale (nel quale il piccolo principe si lascia mordere dal serpente per tornare al suo pianeta a curare il suo fiore) per concentrarsi sulla storia d'amore tra il principe e il fiore qui concretizzata in una giovane donna (Letizia Letza) approntando una macchina drammaturgica originale, ben congeniata e meglio eseguita.
Michele Balducci ha l'eleganza, l'innocenza e la dolcezza del piccolo principe tanto da interpretarlo con estrema credibilità e nessuna retorica, mentre Antonio Calomonici - che dovrebbe forse alleggerire a tratti l'enfasi della recitazione - e Enrica Nizi costituiscono un contraltare stralunato e originalissimo alla recitazione sentita ed emotiva del giovane principe, contribuendo tutti alla riuscita di uno spettacolo che orchestra con efficacia elementi di diversa provenienza.
Tra clownerie (teatro fisico nel quale Nizi dimostra spiccate doti atletiche), giochi linguistici (un dialogo, prima del finale, detto pronunciando tutte le parole al contrario, per cui, per esempio, veloce diventa Ecolev) e l'impiego delle macchine teatrali (quella del vento, un rullo che, ruotato, struscia su di un tessuto emettendo un suono che sembra quello del vento) Piotti allestisce uno spettacolo che, mentre restituisce lo spirito del romanzo non solo nei dialoghi e nelle situazioni narrative, ma proprio nella messa in scena, lo declina secondo punti di vista e sensibilità personali che, senza stravolgerne l'assunto centrale, lo presentano con nuova fisionomia.
Così a certe notazioni tradizionali, come quella della donna/fiore (cui non corrisponde per fortuna quella dell'uomo macho ma al contrario, dell'uomo dolcemente virile)Piotti oppone l'impiego che fisico delle doti di Nizi alla quale spettano le fatiche fisiche maggiori (sposta lei tutti gli oggetti di scena, spinge lei sulla sedia il possente Calomonici), in una efficace, concreta e divertentissima cancellazione dello stereotipo di genere che l'attrice impiega per dare ai personaggi femminili che incarna uno spessore sorprendente dimostrandosi duttile e raffinata attrice sia quando fa la volpe e il serpente sia quando è la metà capovolta del Re (secondo l'iconografia delle carte da gioco francesi).
Piotti usa in maniera discreta ma efficace anche la proiezione video (di Alessio Bianciardi) per restituire sia la donna che ruota sul piccolo pianeta (in un immaginario che ricorda da vicino quello fantasmagorico del cinema delle origini di Melies) sia alcune animazioni che contribuiscono alla scenografia (il campo di fiori tutti uguali, il treno che corre quando il principe incontra il controllore) mentre affida alla musica il portato emotivo del racconto avendo la fortuna di impiegare le splendide musiche originali di Mimosa Campironi che riescono a elaborare le emozioni che lo spettacolo suscita nello spettatore conducendolo a una riflessione emotiva efficace e indimenticabile.
I principi che eravamo è uno spettacolo riuscito, efficace, onesto e niente affatto pretestuoso, che si vede volentieri e si ricorda con emozione, quella che suscita durante la sua visione e che una volta provata non va più via.
Prosa
I PRINCIPI CHE ERAVAMO
Eravamo principi e lo siamo ancora
Visto il
20-03-2012
al
Dell'Orologio - Sala Orfeo
di Roma
(RM)