Prosa
I PROMESSI SPOSI ALLA PROVA

Persone e personaggi alla prova

Persone e personaggi alla prova

Chissà se, meditando sull'espediente del manoscritto anonimo, Alessandro Manzoni era cosciente di segnare per sempre la storia della letteratura. Chissà se, risciacquando i panni in Arno, era cosciente di ridisegnare anche le sorti della lingua italiana. Di certo possiamo dire che pressoché ognuno di noi si è trovato a misurarsi con quell'indiscusso capolavoro che risponde al nome di I promessi sposi, tanto odiato e temuto tra i banchi di scuola perché imposto, quanto apprezzato in età matura perché consapevolmente scelto. In ogni caso, romanzo impossibile da ignorare, se non altro per le varie trasposizioni operate nel tempo: dallo storico sceneggiato del 1967, in cui il maestro Sandro Bolchi riunì con abile regia attori del calibro di Tino Carraro, a quello, valido ma forse meno convincente, del 1989 firmato da Salvatore Nocita, passando per parodie (dal celeberrimo Trio agli Oblivion) e fumetti che ne hanno accresciuto la popolarità, se mai ce ne fosse stato bisogno.

C'è anche la storia di Renzo e Lucia tre le incursioni concettuali e linguistiche dello scrittore, drammaturgo, storico dell'arte (e molto altro ancora) Giovanni Testori: come molte sue altre produzioni, I promessi sposi alla prova (1984) mettono in discussione, scardinano, pur sempre amando, la fonte originaria, esprimendo una conflittualità di non semplice risoluzione. Federico Tiezzi e Sandro Lombardi accolgono questa affascinante sfida, dopo la fortunatissima messinscena di Ambleto dello stesso Testori (Premio Ubu 2002 per l'interpretazione di Lombardi), forti di una solida drammaturgia e della presenza di nomi ormai storici per la compagnia, nonché di nuovi validi interpreti che già abbiamo avuto modo di apprezzare altrove.

Il retro di un teatro grigio e scalcinato: un tavolo rettangolare in primo piano, due scale laterali e una centrale portano a una zona sopraelevata delimitata da un sipario-tendone da circo rosso, in cui si trova un altro tavolo con sedie; una porta e varie uscite delimitate da un'altra scala e dalle semplici quinte. Sandro Lombardi è Il Maestro, come da tutti verrà chiamato, nostalgico delle tradizioni e di un'interpretazione pomposa alla vecchia maniera, solo a tratti conscio di quanto il teatro abbia bisogno di essere rinnovato e spolverato. Egli guida un gruppo di attori verso la scoperta e la messinscena del romanzo manzoniano, corregge la dizione esasperando la metrica, interviene e interrompe, alla stregua del capocomico pirandelliano (la cui poetica e i meccanismi metateatrali sono evidenti e tangibili in molti momenti dello spettacolo). Non si limita a restare fuori, osservando la scena da molteplici punti del palco, ma si inserisce interpretando ora un vile e buffo Don Abbondio, ora un minaccioso e decadente Innominato, semplicemente aggiungendo mantelli al completo grigio: con la maestria e la delicatezza che sempre lo contraddistinguono, Lombardi regala una coinvolgente interpretazione, con intensi monologhi costantemente sospesi tra la derisione e l'apprezzamento verso un certo modo classico di far teatro. Si fa tremendamente sul serio, scherzando.

Gli attori sono in prova, messi alla prova, nel teatro come nella vita. Spulciano il testo, prendono appunti, cercando di carpire e capire ogni indicazione del Maestro: riflettono, si guardano tra loro, non sempre capendo, scalpitano per mettere in pratica ciò che stanno studiando a tavolino. In continua altalena tra persona e personaggio (ecco ancora la forte derivazione pirandelliana), non hanno altra identità nominale se non quella del ruolo che vanno a interpretare; allo stesso tempo, ognuno è vestito a proprio modo, eccezion fatta per alcuni accessori e oggetti di cui via via si muniscono. Escono ed entrano in continuazione dal personaggio, spesso senza cambiare registro: il pubblico, a cui molte volte gli attori e il Maestro si rivolgono, viene disorientato e chiamato a partecipare di una finzione nella finzione i cui confini sono tutt’altro che definiti. Nel ripercorrere le vicende salienti di Renzo e Lucia, la prova è frammentata, continuamente interrotta da dubbi e proteste, con il ritmo incalzante delle esibizioni circensi, appunto.

Da un lato, gli attori navigati rivendicano un ruolo a loro consono, di spicco, una lunga parte su cui crogiolarsi e gigioneggiare: Marion D'Amburgo è un'Agnese dalle narrazioni interminabili, il sempre simpatico Massimo Verdastro un'improbabile Don Rodrigo (tutto fuorché minaccioso), Iaia Forte una Gertrude ridondante dal trucco carico, ammuffita e relegata in cantina. Dall'altro lato, gli attori giovani vogliono capire, sentire la parte, trovare un modo personale di interpretare, fanno fatica a comprendere la potenza della Parola, più volte citata dal Maestro: la parola che evoca monti che in realtà non ci sono, che crea distanze chilometriche sulle tavole del palcoscenico, che tratteggia fisicità e carattere dei personaggi. L’attore di Francesco Colella è impetuoso, cocciuto e sanguigno proprio come Renzo, commuove per la freschezza e la passione con cui si approccia alla parte. Il bel viso di Debora Zuin è quello dell'Attrice che fa Lucia, come lei timorosa e delicata. Caterina Simonelli (già bella e vigorosa protagonista in Scene da Romeo e Giulietta di Tiezzi) è l'attrice giovane incastrata nel ruolo settantenne di Perpetua, mentre Alessandro Schiavo diviene Giampegidio, buffa trasposizione del tenebroso amante di Gertude.

Non si parla solo di teatro, ma di vita vissuta, di quella temibile smania di Potere che tutto governa e che determina gli eventi reali così come le sventure dei due protagonisti; in contrapposizione pare esserci la Provvidenza che ordina e ricompone, su cui viene sospeso il giudizio attraverso lo schietto scetticismo di Renzo. Sarebbe auspicabile che davvero questa mano potente esistesse, tuttavia, chissà...

Lo spettacolo scorre agevolmente, tradendo forse eccessiva lunghezza e ripetitività nel ribadire certi concetti. Laddove il testo avrebbe offerto interessanti spunti per graffiare e contestare con sarcasmo, la lettura di Tiezzi e Lombardi si mantiene carezzevole, in qualche modo accondiscendente: non è del resto prerogativa di questi due artisti scioccare, piuttosto mantenere delicatezza e garbo anche nelle operazioni più ardite. Lo stesso Lombardi, e con lui i componenti della compagnia, sa imprimere agli spettacoli di volta in volta affrontati un inconfondibile marchio di professionalità ed eleganza, volto ad approfondire e sviluppare tematiche attraverso una macchina teatrale sempre giocata sul filo delle più impercettibili sfumature interpretative.
 

Visto il 23-11-2010
al Metastasio di Prato (PO)