Quando entra in scena, preceduta dal fisarmonicista Roberto Palermo, Elena Fanucci sorprende e impressiona. Il viso, il trucco, i capelli, gli occhi espressivi oltre ogni immaginazione, tutto rimanda a Edith Piaf e non tanto per una banale somiglianza fisica, pure presente, quanto per la capacità dell'attrice di sentirsi Edith Piaf, di essere l'icona della canzone francese. Gesti e postura sono quelli stessi di Edith in un continuo rimando femminile tra la donna (e l'interprete) italiana e la donna e l'interprete francese.
Elena/Edith serra in petto un quaderno nero, come nero è il suo vestito, nera e vuota la scena, tranne una sedia per il musicista e una poltrona con un plaid e un leggio per lei.
Il monologo prende spunto da notazioni intime e personali dei suoi diari che si diluiscono in una visione poetica del mondo così come lo vede la chanteuse.
Purtroppo I quaderni dell'usignolo (presentato al teatro Argot nell'ambito della rassegna tutta al femminile VETRINA di SCENA SENSIBILE) non convince, irrita e, duole dirlo, annoia.
Non convince prima di tutto perchè lo spettacolo si presenta senza una vera idea di regia (firmata, insieme al testo, dalla stessa Fanucci): per i suoi monologhi Elena/Edith alterna la postazione eretta, vicino alla poltrona, a momenti in cui siede, con rare eccezioni come quando, appresa la morte del suo amato pugilatore, va in fondo alla scena e agita le mani velocissimamente davanti gli occhi, in un silenzio assordante (uno dei pochi momenti davvero emozionanti dello spettacolo). Per il resto, dopo i primi dieci minuti si capisce che lo spettacolo è tutto lì un continuo alternarsi tra esecuzioni delle canzoni di Edith alla fisarmonica, ben suonate da Roberto Palermo, e i monologhi di Edith/Elena, in un salmodiante ripetersi uguale a se stesso.
Lo spettacolo irrita perchè la più grande assenza è proprio il canto. Elena/Edith non canta mai, né sentiamo mai la voce registrata della vera Piaf. Nelle note di regia Fanucci precisa che I quaderni dell'usignolo sono una sorta di contaminazione fra teatro e letteratura, che inevitabilmente cerca di fondersi con la musica. La voce umana, in un dialogo serrato con la voce della fisarmonica, dispiega le sue note più segrete dimenticando che una fusione tale già esiste ed è quella del canto.
Come si fa incentrare uno spettacolo sulla più grande cantante francese e non farne sentire nemmeno una volta la voce? Non pago lo spettacolo ignora anche i testi delle canzoni (così profondi e popolari). Solo una vola Elena/Edith, mentre la fisarmonica ne suona le note, recita il testo di Rien de rien in italiano mostrando come sarebbe potuto essere lo spettacolo se la sua autrice fosse interessata alla cantante Edith Piaf. Invece Elena Fanucci sembra interessarsi solamente alla donna Piaf trascurandone la grandezza professionale a favore del racconto della sua vita privata (un po' troppo uguale a quella raccontata dal film La Môme di Olivier Dahan) che tralascia tanti dettagli insistendo su quelli pietosi come l'alcool (e la morfina) che finiscono per diventare le uniche cifre della cantante. Edith sembra una donna sprovveduta, quasi pazza, sicuramente sfortunata mentre è stata anche tante altre cose: una donna capace di fare innamorare di sé tantissimi uomini giovani, che le sono rimasti accanto fino alla fine, una donna indipendente e per questo criticata e malvista dalla società. Invece i monologhi si riferiscono al rapporto conflittuale con la madre, a una infanzia fatta di miseria e a letti pieni di pulci e zecche, secondo l'agiografia ufficiale (anche in patria) che la vuole cantante maudit la cui grandezza deriva dalla sofferenza e dalla vita misera e piena di sfortuna, secondo un cliché vieto quanto stantio e dannatamente romantico.
A discapito della bravura della sua interprete I quaderni dell'usignolo non mette in scena la vita segreta o meno di Edith Piaf (come recita il sottotitolo dello spettacolo) quanto le illazioni, scontate e poco originali, di Elena Fanucci sulla vita della più grande interprete della canzone francese, ma lei, Edith Piaf, nello spettacolo non è presente, né in voce né in spirito.
Il pubblico applaude entusiasta, ci auguriamo all'interprete, non all'autrice della pièce...
Visto il
22-03-2010
al
Argot Studio
di Roma
(RM)