Ottantasette personaggi in scena non sono pochi. Difficile la gestione e il coordinamento di tanti attori, soprattutto quando non professionisti affermati. Contro ogni aspettativa, “I ragazzi di don Zeno” smentisce le previsioni iniziali, pregiudizievoli di una valutazione obiettiva e sincera.
Lo spettacolo narra la storia di don Zeno e della comunità di Nomadelfia, un racconto lungo quasi cinquant’anni, in cui si intrecciano le storie di tanti bambini sottratti al riformatorio, quelle delle “mamme di vocazione” - giovani donne che decidono di proporsi come figure materne di riferimento per i ragazzi della comunità - senza tralasciare le vicende di uomini e donne comuni, la cui vita in qualche modo ha incrociato la strada del prete di Fossoli. La complessità della storia è tale da richiedere una messa in scena di quasi due ore e mezza ma, superati i primi momenti di incertezza, la narrazione scorre con maggiore fluidità, in un crescendo di interpretazioni sentite e convincenti, in alcuni punti addirittura commoventi.
Pur non avendo pretese esaustive nel riportare la storia di una comunità che ha vissuto molti alti e bassi nel corso degli anni, il musical risulta nel complesso un prodotto ben confezionato, curato nei costumi e nei dialoghi. La bellezza dell’opera sta non solo nel messaggio, un tentativo coraggioso di mettere in pratica ogni giorno il Vangelo, ma anche nell’impegno dei giovani interpreti, a cominciare dai cinque ragazzi che vestono i panni di don Zeno nelle diverse fasi della sua vita, dall’infanzia fino all’età più matura. Toccante è anche la scena dei bambini sottratti con la forza alla comunità, che richiamano in un grido di dolore e sincero affetto, le mamme adottive dalle quali sono stati separati, affidando a lettere e pensieri il desiderio di rivederle prima o poi. Non mancano, tuttavia, momenti più “leggeri”, capaci di strappare una risata, come quando uno degli uomini del paese paragona la comunità dei figli di Nomadelfia, che raggiunge ad un certo punto dimensioni così grandi da risultare incredibili, alla vasta Unione Sovietica.
Un lavoro ambizioso che ha il merito, tra le varie cose, di mischiare generi musicali diversi, dalla melodia popolare alle canzone in voga nell’America anni ‘50, motivetti magari privi di strofe ma che rimangono nella mente una volta terminato lo spettacolo.