Lirica
I TRE GOBBI

Goldoni non è stato solo un commediografo

Goldoni non è stato solo un commediografo

La vitalità e la modernità delle commedie di Carlo Goldoni sono testimoniate dall'ininterrotta fortuna di cui esse godono da sempre, anche fuor d'Italia. Tanti sono i pregi del teatro goldoniano: gli accorti e ben dosati meccanismi teatrali, l'approfondimento dei caratteri, la piacevolezza e la duttilità del linguaggio, sia un piano parlar toscano od un cangiante dialetto veneziano, non importa; ed infine il compiuto ritratto di una società 'piccola' e 'grande' al tempo, quale si poteva trovare nella Venezia di metà Settecento. Ma Goldoni non è stato solo l'autore di testi immortali quali La bottega del caffè, Il campiello o la Trilogia della villeggiatura, in cui si fondono appunto vivide descrizioni di caratteri e di ambienti. Nella sua lunga carriera si è dimostrato infatti anche un fertile e buon librettista, pur se incline più al genere buffo che a quello serio, come attesta la feconda collaborazione con il conterraneo Baldassarre Galuppi col quale diede vita a capolavori di garbata comicità quali Il mondo della luna, L’Arcadia in Brenta, Il filosofo di campagna. Anzi, il primissimo testo goldoniano destinato alle scene non è, guarda caso, una commedia o una farsa, bensì un intermezzo scritto a Feltre nel 1730, cioè La Pelarina; ed il primo suo lavoro a stampa è un altro testo analogo, quello de Il gondoliere veneziano pubblicato nel 1732.

Tra i quindici intermezzi scritti negli anni giovanili, La favola dei tre gobbi – presentata al Teatro di San Moisè nel carnevale 1749, all'interno del melodramma Anagilda di Girolamo Gigli - occupa oggi un posto particolare: perché ebbe singolare diffusione per molti decenni, seppure più o meno modificata; ma sopra tutto perché la sua partitura - l'unica sopravvissuta dei quindici intermezzi, e di mano di Vincenzo Legrenzio Ciampi – è stata recuperata in anni recenti alla Bibliothèque Nationale di Parigi. Trascritta da Francesco Massimi, La favola è stata poi da questi presentata per la prima volta in epoca moderna nel settembre 2012 a Spoleto, eseguita dai giovani del Teatro Lirico Sperimentale “A.Belli” sotto la regia di Giorgio Bongiovanni.

Per queste nuove rappresentazioni veneziane, invece, si è voluta promuovere un'operazione diversa dal solito recupero strettamente filologico: le pagine dell'intermezzo originale, rielaborate ad hoc con mano leggera e vivida fantasia (ne parliamo più avanti) da Alberto Maron, sono state infatti inserite all'interno di un progetto drammaturgico curato con molta intelligenza da Marco Gnaccolini nella stesura del testo, e dal regista Michele Modesto Casarin per la messa in scena. Dietro a I tre gobbi – questo il titolo del nuovo lavoro - sta infatti la compagnia teatrale Pantakin di cui essi sono punti di riferimento, nata a Venezia vent'anni fa con lo scopo di mantenere viva la tradizione del teatro di maschera e della Commedia dell'Arte; e che qui agisce con il supporto tecnico di Woodstock Teatro (perfetti i costumi di Licia Lucchese e Alessandra Dolce, espressive le maschere di Roberta Bianchini) e del Conservatorio “B. Marcello” di Venezia.

La 'favola', che Goldoni dice nella sua premessa «all'amico lettore» far parte del patrimonio popolare veneziano e raccontatagli dalla nonna, vede tre bellimbusti di diverso carattere, ma tutti e tre gobbi – Parpagnacco, ricco marchese inurbato; Maccacco, barone stolido e balbuziente; Bellavita, conte tanto presuntuoso quanto squattrinato – corteggiare la bella Madama Vezzosa, civetta e briccona al punto di non voler rinunciare a nessuno dei tre. Non sapendosi decidere, ottenuto il loro consenso e bandita ogni reciproca gelosia, instaurerà così un curioso ménage à quatre. La Mirandolina de La locandiera -trovandosi  in una situazione simile - non arriverà a tanto. L'invenzione di Marco Gnaccolini è quella di inserire questo nucleo, con molta libertà ma anche con intelligente inventiva, all'interno d'una narrazione del tutto inedita che vede un giovane Goldoni minacciato di morte nel suo studio da due loschi figuri, Beccaferro e Tagliacarne: sono sgherri del nobile Grimani, col quale ha contratto pesanti debiti di gioco non pagati. Quattrini però non ne ha, neppure la vecchia domestica Catte può aiutarlo; allora il commediografo promette di saldare il dovuto scrivendo e vendendo proprio un intermezzo, genere facile a piazzarsi, ed in più promette loro una bella sommetta extra di mancia. Dopo tre giorni gli sgherri tornano, ma Goldoni non ha scritto nulla, s'è ubriacato ed ha dormito per tutto il tempo. Per evitare d'essere fatto fuori, propone di scrivere l'intermezzo nel tempo che ancora gli rimane, mettendo velocemente in versi una vecchia favola suggerita da Catte; e man mano che la storia procede, lui ed  i due tipacci reciteranno i ruoli dei tre gobbi, mentre Catte, rivestita di bei abiti, si trasformerà in Vezzosa. A tal punto il racconto prende a procedere su due piani alterni: il primo, quando i personaggi per così dire “veri” dialogano tra loro – il giovane commediografo, per dire, fatica a portare avanti la sua impresa e deve essere pungolato di continuo -  l'altro quando si calano nei ruoli della finzione immedesimandosi al punto da battersi per conquistare Vezzosa, sino a quando la donna fa loro accettare la sua inaspettata proposta di “amore in compagnia”. Finito di scrivere il libretto, e tornati alla realtà, Beccaferro e Tagliacarne prendono però in ostaggio Goldoni –  spiantato com'è, non può dar loro la mancia promessa – che lavorerà dunque gratis per Grimani ed il suo teatro a San Samuele; mentre Catte, presa dall'ambizione, decide che d'ora in poi farà l'attrice.

Il testo approntato da Marco Gnaccolini, che contiene al suo interno solo una parte di quello goldoniano (in pratica, qualche dialogo ripreso dalla Favola dei tre gobbi e le arie musicate da Ciampi) si mostra ben costruito e scorrevole, e risulta spassoso per la compiutezza dei caratteri e la felicità delle battute. La regia di Michele Modesto Casarin, inserita nel contenuto spazio delle Sale Apollinee della Fenice, appare anch'essa godibilissima e piena di fantasia, e sa conquistarsi il pubblico per le sue travolgenti trovate comiche. E poi ci sono – quello che più conta - quattro efficientissimi attori a dar vita ai personaggi, e tutti di indubbia bravura. Due sono classiche figure dell'Arte, con tanto di maschera nasuta: lo stesso Casarin è l'ottuso e tracagnotto Tritacarne, che si esprime in un colorito guazzabuglio di grugniti e dialetti diversi; Emanuele Fortunati è il pittoresco Beccaferro, la mente – mica poi tanto perspicace, tuttavia – della colorita e simpatica coppia di taglieggiatori. Lo straordinario Matteo Fresch – mille espressioni nel volto - è un Goldoni in cerca di un'ispirazione, che ora viene ora sfugge al giovanotto capestrato ed incosciente. Manuela Massimi è perfetta tanto negli stracci di Catte, quanto nei vaporosi abiti di Vezzosa.

Qualche parola ora sulle musiche inserite ne I tre gobbi, utilizzate per così dire “fuori scena”, e composte appositamente da Alberto Maron allo scopo di accompagnare ed integrare la recita della nuova farsa ideata da Gnaccolini. Qualche invenzione è del tutto originale, altre pagine Maron le ha “ricreate” ex novo. Vedi la sinfonia e il brillante interludio al clavicembalo, vedi il ronzio che accompagna l'estro creativo dello scrittore, vedi il brillante duetto finale: tutti momenti che nell'originale ciampiano non esistono. La base, nondimeno, è pur sempre materiale tematico del compositore piacentino – vi sono anche spunti musicali della sua produzione cameristica – sulla quale riesce ad elaborare, con interventi mirati e di grande intelligenza, una partitura accattivante, snella e cangiante benché la formazione orchestrale impiegata sia minimalistica. Con lui al cembalo, infatti, troviamo i valenti strumentisti dell'Ensamble Harmonia Prattica, cioè Giulia Zoppelli Cascio, Sebastiano Franz, Martina Messina, Davide Girolimetto; in pratica un agile quartetto d'archi.
Anche le parti vocali sono state adattate (quelle maschili ridotte da tre ad una) su misura degli interpreti qui impegnati, il soprano Ilenia Tosatto e il tenore Andrea Bisconti, entrambi all'altezza del compito assegnato: in abiti moderni hanno fatto anche loro parte della “colonna sonora” - chiamiamola così – che ora sosteneva ora intercalava la farsa che si svolgeva davanti loro. Lei, deliziosa nella volitiva auto presentazione di «Sì, lo so, non replicar», ammiccante in «Voi siete un bel furbetto», maliziosa e furbetta in «La sà che tuti e do xé inamorai», allorché lascia il toscano per un saporito dialetto lagunare; lui, bravissimo nel cambiar registro passando da un carattere all'altro, dalla balbettante vis comica di Parpagnacco in «Sono ancora ra-ga-gazzo» alla vanesia pretenziosità del Conte in «Vi prego di core».

(foto di Anna Pierobon)

 

Visto il 25-11-2016
al La Fenice di Venezia (VE)