Lirica
I VESPRI SICILIANI

I Vespri di Falcone e Borsellino

I Vespri di Falcone e Borsellino

Torino, prima capitale d'Italia, celebra i 150 anni dell'unità anche nella lirica con un nuovo allestimento dei Vespri siciliani, opera risorgimentale di Verdi rappresentata senza il ballo delle Quattro stagioni e in lingua italiana nella versione di Arnaldo Fusinato, poeta che aveva cantato con dolore infinito il Risorgimento veneto nella commovente “Ode a Venezia”.

Davide Livermore parte dall'assunto che Verdi scriveva per i suoi contemporanei e ambientò l'opera nel XIII secolo non potendo scrivere nel 1854 delle Cinque giornate di Milano o della rivolta veneziana capeggiata da Daniele Manin a causa della censura che avrebbe impedito di andare in scena. Ma i Vespri sono una vera opera politica che alludeva al presente, quindi Livermore elimina le alabarde medioevali e l'iconografia verdiana tradizionale ottocentesca e porta l'azione ai giorni nostri, legandola a luoghi e vicende di cronaca riconoscibili: oggi in Italia non c'è una forza di occupazione straniera, ma c'è una forza di occupazione mediatica senza contraddittorio. Il regista intreccia due fili: la Palermo della storia recente e il sistema deviato dei mass media, che fanno cattiva informazione e contribuiscono allo smantellamento culturale (armi di “distrazione” di massa che divengono armi di “distruzione” di massa).
Lo spettacolo è una coproduzione internazionale del Regio con i teatri di Oslo, Bilbao e Lisbona, un progetto unitario e compatto a cui danno un contributo essenziale le scene di Santi Centineo, i costumi di Giusi Giustino, le luci di Andrea Anfossi, i video di Marco Fantozzi e le coreografie di Livermore con Luisa Baldinetti e Cristina Banchetti.

All'inizio si mostra l'antefatto, il funerale di Federico davanti al palazzo di giustizia di Palermo, un funerale di stato alla presenza di autorità religiose, civili e miliari che rendono omaggio alla bara avvolta nel tricolore. I francesi indossano maschere di lattice che alterano i lineamenti dei volti, uomini senza faccia e quindi senza dignità, servi del potere. Incombe un cielo minaccioso, di pesanti e dense nuvole grigie. La folla è assiepata dietro le transenne, sventola quotidiani con “Ammazzato” in prima pagina, incita Elena che tuona in un discorso di fuoco, come la vedova Schifani al funerale di Falcone. Tutto è in diretta televisiva, ma quando la folla si solleva, stravolta dal dolore e dalle ingiustizie, e viene presa a manganellate dai poliziotti, la diretta si interrompe: gli italiani non debbono sapere quel che realmente succede, hanno solo diritto alla “versione di stato”, una visione edulcorata, non veritiera dei fatti. Elena parla al microfono, nel momento in cui grida “Mortali! Il vostro fato è in vostra mano” il microfono le viene strappato da giornalisti servi del potere. Monforte arriva con auto di stato, una Thema blu guidata dall'autista, poi si è in un interno grazie a un artificio scenico che solleva parte del pavimento, portando la scena dentro il palazzo di giustizia nell'ufficio di Monforte, mentre Elena resta visibile oltre la vetrata sul fondo.

L'inizio del secondo atto è forse il momento più alto dello spettacolo: il palco è vuoto e buio, Giovanni cammina lentamente con le mani in tasca, il bavero dell'impermeabile alzato; sul suo canto avanza dal fondo lo svincolo autostradale di Capaci nell'attentato a Falcone e Borsellino, con le macchine come risucchiate dalla terra. La patria per Procida è il vuoto, il buio. Un nulla da cui emergono solo macerie causate dall'uomo e scempi ambientali ugualmente perpetrati dall'uomo. Infatti il luogo diventa una discarica con sacchetti di plastica, divani, televisori, elettrodomestici. L'incontro tra Procida e Arrigo è significativo: si guardano negli occhi da vicino e poi si stringono la mano, riconoscendosi (invece nell'atto successivo Arrigo non osa fissare in volto Monforte). Nella tarantella coppie di sposi con un sindaco e un prete vengono fotografate nella discarica e sul luogo della strage di Capaci. Durante la festa che segue Roberto fa violenza a Ninetta. Così il “Vendetta, vendetta” di Elena e Procida tuona contro un mondo di egoismo e sopraffazione, basato sulla forza del potere e del denaro che trasforma in sudditi inermi i cittadini con la complicità dei mass media.

Le scene di interno sono dentro il palazzo di giustizia di Palermo, spesso con un doppio piano che consente al regista di articolare i movimenti e la recitazione e che fa apparire i protagonisti in un contesto opprimente. Il terzo atto si chiude nel Parlamento italiano, mentre scorrono in video immagini di sport, cultura, politica, cronaca, vita quotidiana, pubblicità, cinema e televisione, un docufilm che racconta centocinquant'anni sulle note di “Oh Patria”. Nel quarto atto la scena mostra ufficio e prigione al contempo, rendendo intrigante lo svolgersi della narrazione ed i diversi, mutevoli rapporti tra i personaggi. Visto il contesto, la “scure che ha il carnefice in mano” diventa una pistola. Monforte sfrutta il momento per un comizio in diretta televisiva, il cielo mostra qualche squarcio di azzurro, i siciliani sventolano bandiere monocrome che, insieme, formano il tricolore.
Nel quinto atto siamo nello studio televisivo del programma “Realissimo”, tra ballerine e comparse. Due ragazze in stile Kessler con tanto di piume in testa ballano il bolero. Il matrimonio di Elena e Arrigo pare un artificio ad uso degli spettatori, in un efficace contrasto cromatico di costumi: rosso per Elena, bianco per Arrigo, nero per Procida.
Nel finale tutto viene spazzato via dal Parlamento che avanza, mentre campeggia il testo dell'articolo 1 della Costituzione: oggi il vero Vespro non è una lotta armata ma l'occupazione del Parlamento da parte di uomini e donne che si strappano via la faccia di gomma e mostrano la propria, simbolo della dignità dei rappresentanti dei cittadini, dando un senso al sacrificio di persone come Falcone e Borsellino.

Gianandrea Noseda dirige con tempi personalissimi, alterna lentezze e veemenza, modula i piano e i forte, emozionando sin dall'ouverture. Il tema dell'agnizione è introdotto dal violoncello con morbidezza, una morbidezza che è cifra stilistica della direzione anche nei momenti più aspri e trituranti. La scrittura orchestrale è analizzata in ogni dettaglio e rifinita per arrivare a una potente verità teatrale che sia in linea con la regia. Noseda esalta i contrasti cromatici e gli spessori del suono e crea equilibrio tra le pagine eleganti e francesi e quelle più autenticamente verdiane, come i monologhi e i momenti intimi (splendidi i confronti tra Arrigo e Monforte). Perfetto il bilanciamento di un suono potente e controllato nel raccordo cantanti-coro-orchestra, orchestra che appare in stato di grazia e in perfetta sintonia con il direttore, davvero eccellente. Come eccellente la prova del coro, preparato da Claudio Fenoglio.

Maria Agresta è Elena, voce importante nel volume e bella nel colore e nel timbro; il soprano ha note gravi brunite, un registro centrale di spessore e un acuto imperioso, per cui la tessitura non le sta troppo larga. Gregory Kunde è Arrigo, ruolo assai ostico per essere a metà tra la vocalità donizettiana e quella verdiana; Kunde affronta senza difficoltà le frequenti salite all'acuto, fraseggia bene e fa emergere le linee di un personaggio ricco di implicazioni psicologiche. Franco Vassallo è Guido di Monforte, del quale riesce ad esprimere una grande varietà di accenti e sentimenti di un personaggio articolato, non graniticamente immobile ma assai contrastato tra le ragioni di stato e le motivazioni del cuore; la voce è robusta e morbida, non ha difficoltà negli acuti, sono ampie le sfumature e timbrate le mezzevoci, affrontate con aristocratica eleganza. Ildar Abdrazakov è uno straordinario Giovanni da Procida di elegante fascino e dotato di voce bellissima, ricca di colori; acuti giusti nella cabaletta, grande espressività e canto a fuoco nell'aria che la precede, momento difficile in quanto egli è solo in una scena completamente vuota e buia ma che riesce a riempire ed illuminare con una voce prodiga di accenti: speranza, ricordi, passione, nostalgia, dolore (la patria è perduta e va liberata dall'invasore straniero, una preghiera laica toccante).
Comprimari di lusso sono Dario Russo (Bethune), Riccardo Ferrari (Vaudemont), Giovanna Lanza (Ninetta), Matthias Stier (Danieli), Cristiano Olivieri (Tebaldo), Seth Mease Carico (Roberto). Completa il cast Roberto Guenno (Manfredo).

Teatro esaurito, molti applausi durante la recita e alla fine ovazioni per i cantanti e il direttore. Miracoli torinesi al Regio: quale miglior modo di celebrare l'unità? Viva l'opera lirica, viva l'Italia.

Visto il
al Regio di Torino (TO)