Il San Carlo va lodato per la scelta di chiudere la stagione lirica e celebrare i 150 anni dell'unità d'Italia con i Vespri siciliani, opera di grande impegno proposta nella versione originale francese, quella scritta da Verdi per l'Opéra di Parigi nel 1855. Il successo che il compositore aveva conseguito grazie alla trilogia popolare gli aveva permesso di lavorare con maggior cura ai libretti e alla struttura musicale, senza l'affanno di dover soddisfare impresari esigenti e l'angoscia di dover piacere a tutti i costi al pubblico. Così i Vespri appaiono un'opera straordinaria in quanto il linguaggio è nuovo, affine al grand-opéra e al melodramma romantico italiano. Roman Vlad ha dimostrato negli anni Novanta che alcune cellule musicali, opportunamente variate e sviluppate, ritornano nella partitura e sono ravvisabili quasi tutte nella sinfonia, uno dei vertici della produzione verdiana. L'opera è autenticamente politica, forse la più risorgimentale di Verdi, come si è visto in modo calzante a Torino recentemente: le passioni personali vengono qui sacrificate alla ragione superiore della libertà per la patria. E l'originale francese è più suggestivo ed efficace che non la traduzione italiana di Arnaldo Fusinato. Quindi il San Carlo va ancor più lodato per avere proposto i Vespri nell'originale francese (e completo del ballo, una rarità) in un bell'allestimento del Massimo di Palermo: da tempo sosteniamo che gli enti lirici italiani dovrebbero scambiarsi allestimenti tenuti nei magazzini ma meritevoli invece di essere riproposti.
Ezio Frigerio imposta la scenografia su due grandi arcate gotiche gemine che possono essere diversamente orientate, dando luogo ai vari ambienti. All'inizio un gioco di archi intrecciati così tipico dell'architettura arabo-normanna di Sicilia (illuminanti le foto di monumenti siciliani e mosaici contenute nel programma di sala). Lo sfondo è un mare azzurro che si stempera nel cielo terso. Nel secondo atto i due archi gemini rimangono ma mostrano un altro lato con decorazioni a tarsie marmoree sui toni rossastri o verde giada che compongono motivi geometrici nel bianco dominante di gusto quasi cosmatesco. Le decorazioni sono sbiadite, scrostate, parzialmente cadute. Nella scena della prigione gli archi sono serrati da grate e spogli da ogni orpello. Il finale ha luogo con il Pantocrator di Monreale sullo sfondo.
Sontuosi i costumi di Franca Squarciapino, che connotano immediatamente i francesi per le armature pettorali e i siciliani per l'abbigliamento popolaresco.
La regia di Nicolas Joël, ripresa da Alberto Cavallotti e Mariano Bauduin, è statica e convenzionale ma funzionale al canto, seppure rimanga poco efficace nei momenti di particolare concitazione come il finale del III atto con l'inno alla patria. Lo spettacolo resta così visivamente piacevole ma non si sottolineano con la necessaria incisività gli snodi narrativi ed i significati del libretto.
Un'aggiunta rispetto allo spettacolo del Massimo è il ballo del terzo atto, dove la musica si fa più convenzionale, affidato alle coreografie totalmente nuove di Amedeo Amodio. Durante il ballo il mare si tinge di oro e riverberi giallastri colorano il cielo. Le danzatrici che personificano le quattro Stagioni vengono trascinate in scena sopra lunghi teli di stoffa con le teste velate, immobili come statue, poi risvegliate, vivificate dal contatto con Eros. Inverno balla con Eros, Primavera con tre uomini, Eros e il Fato si confrontano e reciprocamente si influenzano, Estate, Autunno e il Fato danzano a tre. Tra un numero e l'altro figure maschili e femminili. La coreografia è di impronta classica e tesa a ricreare un mondo arcadico se non mitico. Manca il legame con il resto dell'opera, quel senso di spettacolo nello spettacolo che avrebbe dovuto avere e che l'affacciarsi dei coristi alla fine del ballo dalle quinte laterali non basta a conferire.
Gli altri due momenti di danza, la tarantella e il ballo del quinto atto, sono convenzionali nelle coreografie ma in linea con le necessità del libretto.
Gianluigi Gelmetti dirige con mano sicura una partitura molto complessa; il suo approccio è tumultuoso ma rispettoso delle morbidezze e dei momenti di ripiego intimo; i volumi e i tempi sono dosati perfettamente, i pesi vocali sono contenuti per esaltare la struttura della pagina musicale. Il coro ha un ruolo determinante nell'economia dell'opera ed è stato ben preparato da Salvatore Caputo.
Gregory Kunde conferma la performance positiva del Regio di Torino; il suo Henri ha voce piena e densa di colori che sottolineano i sentimenti ed i contrasti laceranti; non fatica nelle frequenti salite all'acuto della lunga aria del IV atto, illuminata da toni commossi. Alexandrina Pendatchanska fatica nel ruolo di Hélène, reso comunque con forza vibrante ed energia attoriale per concretizzare una donna altera e coraggiosa: la voce spesso non passa l'orchestra, i registri sono disomogenei, il grave è poco udibile e nell'acuto si fa vibrato. Dario Solari ha bel timbro per Guy de Montfort e trova i giusti accenti per rendere le diversi implicazioni psicologiche del personaggio di dittatore e padre, il pubblico e il privato di chi ricopre un ruolo apicale. Orlin Anastassov è un Jean Procida dalla forte presenza scenica e dalla bella voce, vellutata e morbida; il basso sottolinea la forza interiore più che la veemenza rivoluzionaria di un Procida cupo e tormentato.
Tra i comprimari si è segnalato il Béthune di Luca Dall'Amico. Con loro Riccardo Ferrari (Vaudemont), Annunziata Vestri (Ninetta), Antonio Lozano (Daniéli), Enzo Peroni (Thibault), Gianpiero Ruggeri (Robert) e Gregory Bonfatti (Mainfroid). Primi ballerini Alessandro Macario (Eros) e Edmondo Tucci (Il Fato), insieme al corpo di ballo del San Carlo.
Molto pubblico in sala ed applausi generosi per tutto il cast ed il direttore; nessuna defezione nonostante la lunga durata della recita.
La stagione si chiude qui, ma è già annunciata la prossima: inaugurazione in novembre con Semiramide di Rossini in un nuovo allestimento (direttore Maurizio Benini, regia Luca Ronconi, interpreti Sonia Ganassi, Simone Alberghini e Lawrence Brownlee), a seguire Lucia di Lammermoor, i rari Masnadieri di Verdi, Bohème e i Pescatori di perle tra tanto altro, tra cui numerosi interessanti proposte al teatrino di corte. Ma il San Carlo non chiude di certo, anzi riparte subito con una stagione estiva varia e di alto livello (tra gli appuntamenti L'osteria di Marechiaro di Giovanni Paisiello, Pagliacci di Ruggero Leoncavallo e il concerto di Keith Jarrett) e con l'intero mese di ottobre dedicato alla danza. Fasti napoletani dopo i vespri siciliani.