Ci sono tutti, da una Mina che da sotto un paio di occhi bistratissimi esibisce uno sguardo a dir poco ammaliante, all’ormai intramontabile caschetto della Carrà, da Franca Valeri impegnata in una delle sue celebri conversazioni telefoniche, alle gambe chilometriche delle sorelle Kessler, il tutto sotto il vigile sguardo di Pippo Baudo: i personaggi che hanno fatto grande la Rai negli anni Settanta sfilano sorridenti in una carrellata di immagini in bianco e nero proiettate sul fondo del palcoscenico del teatro Verdi. Ed ecco che l’immaginario registico di Francesco Esposito partorisce un Don Bartolo impresario di uno studio televisivo che tenta affannosamente di “piazzare” la sua Rosina, soubrette vagamente nevrotica, avvalendosi dei consigli di Don Basilio; il Conte d’Almaviva si atteggia, invece, a cantante alla moda, Berta aspira ad una carriera drammatica da diva del cinema muto che la vita pare averle negato e Figaro, come di prammatica, non può che fare l’hair stylist occupandosi del look di tutta quanta la banda. Un’idea di per sé simpatica che, a dire il vero, diverte anche il pubblico, ma che finisce inevitabilmente per forzare in più punti il libretto, favorendo un senso di scollamento dall’azione e di generale disorientamento, e che, soprattutto, finisce per cadere sulla insipida ripetitività di molte situazioni, ancor più accentuata dalla genericità, forse voluta, delle coreografie di Gabriella Furlan Malvezzi. Suggestive le scene di Tommaso Lagattola che facilmente ricrea i vari ambienti grazie al movimento di una piattaforma girevole e all’utilizzo di pochi ma efficaci arredi di design accostati a tappezzerie dai colori sgargianti tipiche degli anni Settanta. A vigilare sulla vicenda lo sguardo trepido di un impomatato Rossini che cerca di mettere ordine nel caos generale, magistralmente interpretato da Giuliano Scaranello il quale mostra di possedere doti mimiche fuori dal comune.
Un poco fiacca la direzione di Gianluca Marcianò che imprime poche dinamiche alla partitura e ne dà una lettura tutto sommato un po’ scontata. Ottimo sotto tutti i punto di vista il Don Bartolo di un Paolo Bordogna in piena forma che attraverso poche espressioni del viso sa imprimere al suo personaggio un’aria tra il sornione e il marpione che fa scattare spesso la risata; l’emissione è tecnicamente impeccabile, il fraseggio è morbido, il timbro caldo e corposo. Buono anche il Figaro di Nicola Alaimo, sicuro ma misurato sulla scena, dotato di una voce dal bel colore brunito ha sfoderato un acuto brillante e sicuro. Qualche lentezza nell’esecuzione delle agilità, seppur compensata da una buona intonazione e da un timbro di voce gradevolissimo, per Matteo Macchioni nei panni del Conte d’Almaviva. Particolarmente elegante e ricercata la Rosina di Laura Polverelli che da un lato vuol essere ammaliatrice, mentre dall’altro rivela tutto il represso nervosismo di una diva in carriera: l’acuto forse non parte sempre col dovuto vigore, ma nel complesso la prova convince pienamente. Indimenticabile la Berta di Giovanna Donadini che, oltre a rivelare una vocalità di tutto rispetto, dimostra una straordinaria capacità scenica che la tramuta quasi in un personaggio centrale della vicenda. Con loro il Fiorello di Donato Di Gioia e l’ufficiale di Marco Cazzuffi.
Buon successo di pubblico che sul finale si è mostrato prodigo di applausi per tutti e davvero divertito dallo spettacolo nel suo insieme.