Lirica
IL BARBIERE DI SIVIGLIA

Il barbiere circense

Il barbiere circense

Son passati ormai molti anni dal 1987, quando all'Het Muziektheater, sede della Nederlandse Opera di Amsterdam, appariva per la prima volta "Il barbiere di Siviglia" nella rilettura scenica di Dario Fo. Allora l'attore/scrittore milanese era lungi dall'essere incoronato col Premio Nobel, ma già ben noto oltre confine. L'anno dopo lo spettacolo, del quale Fo aveva pensato ogni dettaglio, venne portato in Italia al Petruzzelli di Bari, direttore un giovanissimo Gatti: per molti versi innovativo, la sua apparizione su quella scena spartì in due la critica italiana. Sono passati più di vent'anni, la creazione di Fo ha girato molte altre ribalte - toccando persino il Brasile, credo -  ed è ora approdata al Teatro Bellini di Catania, in sostituzione di un "Parsifal" decapitato dai tagli decisi dalla Regione Sicilia. Nelle sue componenti di base è rimasto invariato, pure se qualcosa è stato tolto, qualcosa è stato aggiunto affinandone la capacità di far presa sul pubblico, il quale a Catania ha mostrato di divertirsi tantissimo (ed ha fatto registrare il "tutto esaurito" al botteghino); e questa forse è la cosa più importante. Ma se l'effetto novità si può dunque ormai ben dirsi dissolto, valgono tuttora le motivazioni di quella divisione tra critica 'pro' e critica 'contro'. Se ne possono apprezzare la dinamicità e le trovate geniali, frutto del lavoro di ricerca intorno alla tradizione popolare italiana della commedia 'a canovaccio' fatta da Fo, e sfociata in memorabili spettacoli di prosa; come pure la studiata  caratterizzazione dei personaggi, ricreati senza nessuna pesantezza, ed inseriti in un turbinio scenico di archi, balconate e scale a comporre architetture sempre diverse. Graziosi quadri in movimento che ben si accorderebbero - in linea di principio -  con la musica di Rossini: girandole di danzatori, capriole di mimi, acrobati e maschere della commedia dell'arte, coristi sempre in movimento, vorticare di ombrelli e veleggiare di lenzuola, ed altro ancora. Ma finisce per venir meno, in mezzo a tanto turbinio, buona parte della tenerezza sensuale e della pacata ironia che sono proprie del Genio pesarese; ed è inevitabile pure osservare come tutte queste trovate finiscano per rubare l’attenzione del pubblico, distogliendolo dall'impegno profuso dai cantanti e nella buca orchestrale. Per taluni, in fin dei conti, sarebbe più onesto e corretto definire questo "Barbiere" uno spettacolo di Dario Fo, «con musiche di Rossini». Basti un esempio: la Sinfonia iniziale, i cui valori musicali vengono scalzati da un turbinio di figuranti in scena, con 'gags' a profusione che sottraggono ogni attenzione dello spettatore. Indispensabile allora chiudere gli occhi, se si vuole talora optare per la musica. E' un vero peccato, perché il direttore Will Homburg in questa edizione del Massimo Bellini ha svolto sin dalle pagine iniziali un esemplare servizio, anche se spiace abbia scelto di adottare per questa messinscena l'edizione Kalmus e non quella Zedda/Ricordi. Nella sua concertazione c'era una placida solarità, tenera e distesa cantabilità, garbato gioco ritmico e giusta fluidità, leggerezza e trasparenza: proprio quello che ci vuole in Rossini, e nel "Barbiere" in particolare. L'Orchestra di casa l'ha assecondato donando una buona prestazione, precisa nell'esecuzione e ricca di colori; competente come sempre nei suoi interventi il Coro preparato da Tiziana Carlini
Sulla scena svettava la Rosina di Anna Bonitatibus, interprete spiritosa ed aristocratica al tempo stesso: la sua voce non sarà un miracolo di morbidezza, ma è stupendamente espressiva; tecnicamente agguerrita, trova forza nel timbro ambrato e personale, nella savia coloratura, nell'eleganza del canto legato. Tutte cose che si ribaltano ahimé per l'Almaviva di Mario Zeffiri, che appariva tutt'altro che in forma: la voce faticosamente passava sopra l'orchestra, poco che potesse far pensare all'interprete altrove da noi apprezzato. Del ruolo di Figaro il baritono cileno - ma ormai italiano d'adozione - Christian Senn ha fatto il suo stendardo, e ne ha ben ragione: recitazione spigliata e presenza scenica - un simpatico e disinvolto ruffiano, questo suo barbitonsore - linea vocale garbata, istrionica presa sul pubblico. Il Don Basilio di Simone Alaimo tiene banco come sempre con la consueta autorevolezza, al pari del divertente Don Bartolo di Alberto Rinaldi, perfetto attore e signorile interprete. Berta era Graziella Alessi, Fiorello Giuseppe Esposito, l'ufficiale Alfio Marletta. Nel secondo cast erano presenti altri nomi di riguardo: Francesca Provvisionato, Daniele Zanfardino, José Adan Pérez.

Visto il
al Massimo Bellini di Catania (CT)