Con la sola pretesa, non sottovalutabile, d'essere allegro, dinamico, giocoso e scanzonato Il Barbiere di Siviglia ideato da Federico Grazzini. Una regia indulgente alle marcature, sorretta da una linea conduttrice che, avendo attinto alla vena comica presente nelle note di Rossini, si è svolta con coerenza musicale, fattore imprescindibile per esorcizzare il rischio gratuità in questo tipo di operazione, peraltro non nuova.
La vicenda è infatti stata traslata sia geograficamente che temporalmente. Anziché nella Siviglia settecentesca descritta nel libretto di Sterbini, il sipario si è aperto su di un campo da golf nel cuore degli Stati Uniti anni cinquanta. Epoca suggerita da un uso sapiente degli accostamenti cromatici e delle luci, parsi direttamente scaturiti dai primi esperimenti compiuti dalla TV nel passaggio dal bianco e nero al colore: cieli verde prato o arancioni, tappezzeria azzurro polvere alle pareti (scene di Andrea Belli) abiti dalle tinte pastello (di Valeria Bettella).
Spiritosissimi gli ingressi e uscite di scena degli elementi scenografici (la casa di Rosina con relativa siepe di rose, un idrante, un lampione) in tal guisa assurti a consistenza di personaggi, che hanno preannunciato la discesa dall'alto dell'insegna luminosa "Barbiere dell'Ohio", con tanto del tipico sostegno a strisce sormontato da una grande sfera rossa, schizzata via per poi ricomparire in corso di svolgimento d'opera a far da filo conduttore, fino ai ringraziamenti conclusivi per gli applausi (entusiastici), avvenuti sotto una pioggia di enormi palloni gonfiati vermigli.
Grazzini ha inteso letteralmente il protagonista essere il factotum della città. Oltre che alle prese con rasori e pettini, lancette e forbici, abbiamo pertanto visto Figaro-postino, Figaro-antennista, Figaro-muratore, Figaro-pompiere; così come Lindoro-Almaviva è apparso travestito da soldato con tuta verde ed elmetto, mentre la forza era formata da un manipolo di "cops" con pistole e manganelli. Un gusto da cartoon o da bambola Barbie poco italiano e molto americano che, proprio in nome della succitata coerenza logica, non ha rappresentato un difetto; benché non esente da eccessive forzature come nel caso del compagno di Berta, un improbabile sorta di arzillo Braccio di Ferro. Sensati i nessi giustificativi, come la stranutiglia generata dalla polvere fatta cadere dal tetto dal solito maldestro operaio, il colpo di cannone della "Calunnia" dovuto ad un lampo cagionato dal malfunzionamento del televisore, o ancora l'inutil precauzione della scala usata dai vigili del fuoco in cerata gialla.
L'impostazione si è avvalsa di un cast straordinariamente ricettivo e partecipe sotto il punto di vista recitativo. Ciascun interprete infatti ha ben espresso le dettate scansioni caratteriali, muovendosi con l'indispensabile affiatamento sinergico. Marcello Rosiello, un Figaro dalla voce piena, di grande potenza con pregevoli smorzati, forse troppo indulgente a travisature farsesche benché perfettamente accordatesi alla resa scenica in "technicolor".
Rosina, Concetta d'Alessandro di quella fedele precisione che, pur corretta, ha precluso il "sale" canoro e interpretativo. Il Conte d'Almaviva Edgardo Rocha leggermente nasale negli acuti, convincente negli impeti romantici e di sicura eleganza. Applausi irrefrenabili a Don Bartolo, Omar Montanari, dalla perfetta dizione, che ha reso il "buffo" richiesto dalla partitura mediante toni stizzosi e imbronciati, per quanto non abbisognanti di ulteriori accentuazioni riguardo le quali bene avrebbe fatto ad esimersi. Roberto Lorenzi, Don Basilio povero nella gamma coloristica.
Troppo spessa per Fiorello la timbrica di Andrea Bonsignore, che meglio vedremmo in altri ruoli. Tracimati nella vera e propria caricatura l'Ambrogio di Valerio Napoli e la Berta di Loredana Arcuri, che ha così messo a rischio la propria rilevanza vocale. Antonio Greco ha diretto il Coro del Circuito Lirico Lombardo. Sul podio dell'Orchestra de I pomeriggi Musicali di Milano, Matteo Beltrami che ha impresso una lettura opinabile nella scansione di taluni tempi e sottinteso la giocosità insita nella partitura: peccato che in teatro non si debba sottintendere ma esternare.