Mentre nelle calli veneziane già si respira in pieno l’aria del Carnevale, e spuntano in giro le prime maschere – quest’anno a quanto pare il tema d’obbligo riguarda gli animali, reali o fantastici che siano - sul palcoscenico della Fenice è approdato ancora una volta il collaudatissimo allestimento de “Il barbiere di Siviglia” nato già nel 2003 sulle tavole del Teatro Malibran, allorchè venne tenuto a battesimo dalla bacchetta del compianto Marcello Viotti. In verità, dopo quella sua prima apparizione, questo “Barbiere” è stato riproposto più volte dalla Fondazione veneziana; ma ciò non pare importare più di tanto ai turisti, che in siffatto periodo sono tantissimi, e sempre pronti a riempire in ogni ordine di posti la rutilante sala del Selva. Tra l’altro, potendo contare pure sull’ennesima riproposizione della “Traviata” di Robert Carsen, altra presenza ricorrente – sin troppo, vien da dire, dopo tanti anni che la si vede - del cartellone lagunare. Almeno, nel caso del capolavoro rossiniano, non si può in nessun modo disconoscere come lo spettacolo mantenga intatta la sua freschezza e la sua incantevole piacevolezza: in virtù, anzitutto, dell’agile e vitalissima regia di Bepi Morassi, pensata per intrattenere e divertire lo spettatore senza mai cadere in buffonerie di cattivo gusto; ma del pari, e in buona misura, anche per merito delle idee scenografiche di Lauro Crisman, tutt’ora lodevoli ed attraenti. Una bella piazza sivigliana prima, incorniciata da tocchi naturalistici, ed accurati dettagli d’arredo della dimora di Don Bartolo poi, sono tutti incorniciati da esorbitanti volute di serico taffetà, che danno un’impronta singolare all’insieme; ed all’interno di queste ambientazioni troviamo personaggi vivi e credibili, rappresentati con costumi (anche questi sempre di Crisman) dal taglio decisamente ipertradizionale, ma molto raffinati nel disegno. Lo spettacolo, tra l’altro, reca con sé un non piccolo merito, quello di far correttamente iniziare l’opera «al terminare della notte », proprio come recita il libretto dello Sterbini; e come dovrebbe in effetti essere, dal momento che le serenate solitamente si eseguono in una complice semioscurità. L’osservazione vi pare ovvia? Mica tanto! Guarda caso, secondo la nostra esperienza generalmente allo spettatore si propina una piazza sivigliana assolata come a mezzodì, con una luminosità sfolgorante. Mentre qui, invece, le luci di Vilmo Furian hanno evocato le giuste atmosfere: sia all’esterno, suggerendo il passaggio dalla notte fonda all’aurora, sia dentro la borghesissima e pretenziosa casa di Don Bartolo.
Ma veniamo ai cantanti…ad ogni ripresentazione di questo “Barbiere” veneziano, succedutasi dal 2003 ad oggi, è stato convenientemente proposto al pubblico un cast sempre differente, più o meno bene assortito. Quest’anno, l’aver incontrato sul palcoscenico come principale protagonista un cantante coreano non costituiva magari di per sé una novità, tenuto conto di quanti di loro vengono a formarsi e cercare fortuna da noi. Ma scoprirne uno che non sia solo vocalmente ineccepibile (in genere, si sa, sono tutti secchioni e dunque preparatissimi) ma che appaia pure disimpacciato e scenicamente credibile, non è dato per scontato. Stiamo parlando di Julian Kim, un giovane baritono assai ben controllato nell’amministrare un patrimonio vocale senz’altro ragguardevole, e che ha offerto un Figaro vocalmente apprezzabile, con una voce limpida, ben timbrata e ben estesa nell’intera gamma. Ma, sopra tutto, scenicamente convincente e credibile: travolgente nella cavatina d’entrata, brillante nel duetto con Almaviva («All’idea di quel metallo»), e sempre efficace nei momenti seguenti. Giorgio Misseri non possiede, per natura sua, un timbro tenorile accattivante e pieno; ma bisogna pur riconoscere che ha saputo lavorare bene e con criterio, infondendo in complesso al suo Almaviva molte buone sfumature e le opportune mezzetinte, con fraseggio articolato e una notevole espressività, specie nei due momenti solistici del primo atto (così si rimpiange ancora una volta il solito taglio, alla fine, di «Cessa di più resistere»: momento di raffreddamento, certo; ma anche di saporito belcantismo). Quanto alla figura di Rosina, Marina Comparato le ha donato massima verosimiglianza scenica, tratteggiadola con deliziosa e piccante maliziosità, una voce vigorosa ed un timbro felicemente brunito in tutta la trama vocale; ben risolte poi le limpide colorature, che specie in «Una voce poco fa» conferivano sapida carnalità al personaggio. Omar Montanari era Don Bartolo, affrontato con autorevolezza, sapido brio, buon gusto e la giusta dose di fantasia; Luca Dall’Amico si è mostrato un Don Basilio vocalmente corretto, ma un po’ greve e caricato nell’espressione; la brava Giovanna Donadini rappresenta, come al solito, la perfetta impersonazione di Berta; a posto William Corrò nei panni di Fiorello ed Emanuele Pedrini in quelli dell’Ufficiale.
Per questa edizione 2014 sul podio dell’orchestra della Fenice è salito Giovanni Battista Rigon, che in siffatto genere di repertorio appare ogni volta perfettamente a proprio agio: anche in questo caso, dunque, ci ha consegnato una concertazione diligente nella resa strumentale e scattante nella scelta dei tempi, combinando il dovuto fluire narrativo; ben equilibrata nel dosare ritmi, dinamiche e colori; e, ciò che forse più conta, impeccabile nel fornire adeguato sostegno alle voci sul palcoscenico. Non caso, tra i momenti migliori della serata si possono registrare i concertati, dipanati con geometrica precisione e con duttile eleganza. Il Coro del Teatro La Fenice era preparato da Claudio Marino Moretti; Roberta Ferrari si è mostrata ineccepibile e fantasioso maestro al fortepiano. Manuela Custer e Mirco Palazzi sono chiamati a interpretare Rosina e Don Basilio nelle ultime due recite di questo “Barbiere”, programmate a marzo inoltrato.
Lirica
IL BARBIERE DI SIVIGLIA
Il Barbiere durante il Carnevale
Visto il
al
La Fenice
di Venezia
(VE)