Lirica
IL BARBIERE DI SIVIGLIA

IL SOGNO DI ROSSINI

IL SOGNO DI ROSSINI

Il regista Ruggero Cappuccio immagina che il Barbiere sia un sogno di Rossini: durante l’ouverture il sipario si apre lentissimamente, svelando in lontananza il compositore che dorme lungo sopra un pianoforte a coda e che poi torna in vari momenti dello spettacolo mentre scrive sul pentagramma oppure osserva l’agire dei personaggi. Idea certo non nuova e declinata in modo non originale, senza dare forza pregnante allo spettacolo, che, per mantenersi sul piano onirico, perde i riferimenti spazio-temporali e l’oggettistica tradizionale nello spazio nudo di Carlo Savi e coi costumi colorati di Carlo Poggioli, mentre le luci di Agostino Angelini provano a rendere la sospensione dell’immaginazione nella calda atmosfera mediterranea. Nel secondo atto le nuvole magrittiane del fondale forniscono una virata surreale. Durante il temporale Rosina è avvolta nel fumo sintetico come nel turbine di un incubo. Come nel precedente Elisir d’amore, visto sempre al Costanzi, Ruggero Cappuccio mette in scena figure circensi e gruppi mascherati ma, in questo caso, l’effetto è quasi di disturbo, se non di estraneità al contesto. Il momento cruciale del primo atto si svolge dentro un ring improvvisato. Poco efficace l’incipit del secondo atto con Bartolo e il Conte travestito già immersi nell’azione dietro un velatino all’apertura del sipario. Il finale scivola via troppo velocemente a causa degli ampi tagli (tra cui l’aria “Cessa di più resistere”). Un Barbiere insomma che manca di ritmo e non diverte in quanto manca di “allegrezza”, tratto fondamentale evidenziato da Fedele D’Amico e riportato nel saggio di Luca Aversano contenuto nel programma di sala.

Qualche perplessità anche sul piano musicale: Bruno Campanella è molto preciso coi suoni e gli apporti degli strumenti ma sceglie tempi lenti a capito della componente giocosa e la vivacità ritmica rossiniana; il Maestro coglie gli spunti che poi si esprimeranno in Donizetti e Bellini ma prede in dinamica, depurando la partitura di quel piglio brioso e frizzante che ne costituisce la cifra essenziale.

Juan Francisco Gatell ha voce pulita e di bel timbro, il suo Conte è spigliato e avaro (non vuol pagare i suonatori e il loro chiasso è non per ringraziare ma per protestare per il mancato pagamento della prestazione) e la bottega viaggia sulle ruote di una bicicletta con i sellini al posto delle poltrone. Annalisa Stroppa è una Rosina scura e agile, apparsa un poco intimidita: una maggiore sicurezza nel curare l’espressività la porterà a risultati ragguardevoli. Alessandro Luongo è un Figaro dalla voce piccola, che a momenti stenta a superare l’orchestra per raggiungere la platea; scenicamente disinvolto, il baritono non spicca e non si impone all’attenzione del pubblico. Di sicura esperienza il Bartolo aitante (totally pink) di Paolo Bordogna, il Basilio occhialuto di Nicola Ulivieri e la giovanile Berta di Laura Chierici, la cui aria “Il vecchiotto cerca moglie” cantata con due piumini usati come fossero marionette è forse il momento migliore e più poetico della serata. A completare il cast Ilya Silchukov (Fiorello), Fabio Tinelli (un ufficiale) e Giulio Cancelli (Ambrogio). Il coro del teatro è stato preparato da Gea Garatti Ansini.

Teatro gremito, serata elegante con vivo successo di pubblico e generosi applausi per tutti.

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