Il Regio di Torino cerca una via italiana al repertorio e il modo pare il migliore possibile: titoli popolari, allestimenti di grande presa sul pubblico (e non necessariamente tradizionali, vedi la Butterfly di Michieletto), cast di lusso. Insomma la maniera italica di fare bene le cose di qualità. E il pubblico accorre in massa, esaurendo praticamente tutte le opere: diciotto recite per quattro titoli in un mese.
Questo Barbiere è ambientato in una Siviglia storicamente verosimile e non caricaturale. La scena di Claudio Boasso è giocata su prismi a base triangolare che, uno accanto all'altro, creano lo sfondo per un esterno e due interni declinati in pareti bianche, cornici giallo-ocra e azzurro, azulejos, grate alle finestre, Macarene, tende a rullo e fontanelle. Soluzioni forse non originalissime ma che funzionano alla perfezione, insieme ai costumi di Luisa Spinatelli, appropriati al luogo e all'epoca della storia senza eccedere in colori e decorazioni. Le luci di Andrea Anfossi creano le giuste atmosfere sia per quanto riguarda gli interni e gli esterni, sia per quanto riguarda il trascorrere delle ore: dalla notte che si avvicina all'alba durante la serenata del Conte ai lampi temporaleschi durante il tentativo di rapimento.
La regia di Vittorio Borrelli parte da una perfetta conoscenza dei tempi e dei meccanismi teatrali, segue il libretto in modo comprensibile creando talvolta situazioni non scontate, come l'amoreggiamento di Berta con l'ufficiale nella chiusura degli atti. Il lavoro registico è concentrato sui personaggi: se è vero che le psicologie del Barbiere non sono particolarmente complesse, però Borrelli cura la gestualità e la mimica in modo da spingere sul comico senza mai cadere nel volgare e nel banale. E il pubblico si diverte moltissimo.
Alessandro Galoppini dirige l'orchestra del Regio con tempi allargati e non sempre funzionali alla macchina scenica; il suono potrebbe essere più leggero e arioso, luminoso come le giornate sivigliane. Il coro è stato ben preparato da Claudio Fenoglio.
Nel cast cantanti italiani che frequentano i ruoli da tempo e che, con la sola eccezione di Ulivieri, erano nel debutto dell'allestimento. Antonino Siragusa è un Almaviva sicuro, la cui voce pulita sale all'acuto splendente senza alcuna fatica; sempre piacevole la sua serenata suonata dal vivo alla chitarra; orgoglioso della propria popolarità, questo Conte rilascia autografi e firma fotoritratti. Marina Comparato si impone per il piglio malizioso e l'aria furba della sua Rosina, puntuta come le frecce che scaglia alle pareti mentre avverte di essere una vipera, alla bisogna; la voce non grande è piacevole per timbro e colore e bene usata nelle colorature; azzeccato il momento di malinconia con lei seduta al buio in una stanza vuota quando pensa di essere stata usata e tradita. Roberto De Candia è un Figaro panciuto e sereno come il libretto richiede, capace di approfondire il personaggio con pennellature vocali originali. Paolo Bordogna è un aitante Don Bartolo, non vecchio e non rimbambito, contro il quale è ancora più intrigante la macchina ordita per amore. Nicola Ulivieri è un Basilio untuoso e viscido, perfetto per voce e contegno. Ottima la Berta di Giovanna Donadini per verve interpretativa e giusta vocalità. Con loro, adeguati il Fiorello di Claudio Ottino e l'ufficiale di Franco Rizzo. Fondamentale per la riuscita dell'opera e il divertimento del pubblico l'Ambrogio del mimo Antonio Sarasso, allampanato, magrissimo e svagato.
Teatro esaurito, pubblico in visibilio con molti studenti attenti, applausi entusiastici: il Regio di Torino sta davvero trovando una giusta “via italiana” al repertorio.