“La Cultura come Strumento di Dialogo tra i Popoli” è il titolo della Conferenza internazionale organizzata nell’ambito dell’Expo, che ha portato per due giorni (31 luglio e 1° agosto) a Milano i ministri della cultura di 83 Paesi. Due i momenti di ”svago” per le delegazioni estere: una visita al Cenacolo vinciano e una serata alla Scala per assistere a una recita del Barbiere rossiniano, protagonisti l’orchestra, il coro e i solisti dell’Accademia scaligera. La Conferenza si è chiusa con l’approvazione di una dichiarazione congiunta, proposta dal Ministro dei Beni e delle Attività Culturali Dario Franceschini, il cui testo riteniamo doveroso riportare: “I ministri esprimono la loro più ferma condanna all’uso della violenza contro il patrimonio culturale mondiale ed esortano al rispetto e alla tolleranza reciproca quale strumenti idonei al dialogo fra i popoli. Essi esprimono la loro solidarietà alle nazioni colpite da catastrofi naturali. Per questo esortano la comunità internazionale ad adoperarsi per la salvaguardia e il recupero dei beni culturali. I ministri della cultura rivolgono un appello alle Nazioni Unite e all’UNESCO affinché i principi del dialogo tra le culture, il rafforzamento della tolleranza e il rispetto reciproco fra popoli e culture diverse siano mantenute al centro dell’azione della comunità internazionale”.
Per l’annuale appuntamento con i giovani dell’Accademia, la Scala rispolvera (è proprio il caso di dirlo…) la celeberrima produzione firmata da Jean-Pierre Ponnelle, che ha visto la luce nel lontano 1969 ed è stata poi ripresa altre nove volte (questa è la decima) nel corso degli anni. Se dal punto di vista delle scene e dei costumi l’allestimento appare decisamente datato nella sua oleografica ambientazione andalusa, nondimeno esso conserva ancora un certo qual fascino, grazie a una regia regolata con gusto e acume e a qualche gag ancora sorprendentemente “fresca”, che si affianca ad altre che hanno ormai fatto il loro tempo.
Per fare da “chioccia” ai debuttanti sono stati reclutati Leo Nucci e Ruggero Raimondi, storici interpreti dei ruoli di Figaro e Basilio. Nucci, a 73 anni suonati, continua a stupire per lo straordinario vigore dei mezzi fisici e vocali. L’emissione è morbida e controllata, gli acuti facili e timbrati, il fraseggio eloquente. La recitazione è incisiva e il Figaro che ne risulta è ancora prodigiosamente credibile. Decisamente meno pimpante e vocalmente ormai da tempo alla frutta è invece Raimondi, che tuttavia, in forza di una presenza scenica carismatica, riesce ancora ad essere convincente nei panni di un Basilio spiritato e opportunista. Per quanto riguarda i giovani, pur riconoscendo a tutti un apprezzabile disinvoltura sul piano della recitazione, non è parso di individuare talenti da seguire con particolare interesse. La migliore è la Rosina di Lilly Jørstad, che purtuttavia deve acquisire maggiore mordente nella coloratura. Confrontato all’arduo ruolo di Almaviva, Edoardo Milletti si difende come può, mostrando una maggior propensione per il canto elegiaco rispetto a quello di agilità, apparso faticoso e scarsamente incisivo. Più facile il compito di Giovanni Romeo, che snocciola il sillabato veloce dell’aria del primo atto con apprezzabile scioltezza e per il resto propone un Bartolo più che discreto, benché dal gusto interpretativo un po’ datato. Tra i ruoli minori, merita una menzione la Berta di Fatma Said.
Per quanto concerne la direzione di Massimo Zanetti si sono uditi tempi inutilmente incalzanti, clangori eccessivi, suono dell’orchestra cupo e morchioso, dinamica artificiosamente contrastata, con transizioni repentine e incongrue tra pianissimi e fortissimi. Direzione deludente, insomma, ciò che risulta sorprendente, avendo in altre circostanze apprezzato Zanetti come concertatore accorto e sensibile.
Al termine caloroso successo di pubblico, insolitamente numeroso per un venerdì di fine luglio.