Il barbiere di Siviglia non è più solo un'opera buffa, supera di molto gli stereotipi dell'opera napoletana ed è già intrisa di atmosfere romantiche. Un plauso all'Arena di Verona che recupera questo allestimento splendido e perfetto: spettacoli di tale bellezza vanno riproposti. Hugo De Ana (autore di regia, scene, costumi e luci) punta al puro divertimento e ambienta la scena in un labirinto di siepi verdi (tortuosi percorsi d'amore), su cui svettano rose alte come palme, rose gigantesche, voluttuose (sembra quasi di sentirne persino l'odore, stordente), sempre più sensuali, grazie a un abile gioco di luci, man mano che la notte scende.
Il Barbiere di De Ana fa divertire, moltissimo. Si ride di gusto senza mai scivolare nel banale, nel volgare, nella macchietta. E quando in Arena ridono 14.000 spettatori l'effetto è davvero unico. I costumi sontuosi sono settecenteschi ma evitano rimandi alla Spagna di tradizione, come se quella Spagna, in fondo un luogo immaginario, fosse osservata dalla Francia di Beaumarchais oppure dall'Italia di Rossini (invece più vicino all'Andalusia era l'allestimento di De Ana del 1997 dell'Opera di Roma). Le siepi semicircolari si muovono per creare gli spazi che il libretto vuole, rimanendo sempre su luoghi sostanzialmente astratti.
Questo Barbiere, oltre che divertente e gradevole, è perfetto per gli spazi areniani (sorprendente, in quanto l'opera, priva di elementi di spettacolarità, non sembrerebbe adatta al teatro all'aperto). E i fuochi d'artificio finali completano la festa, decretando lo stupore del pubblico, dopo il grande divertimento.
Piacevoli, garbati e ironici gli interventi coreografici di Leda Lojodice; mimi e ballerini riempiono lo spazio con movimenti anche circensi, ampi e visibili dalle alte gradinate.
Ottimo il cast
Francesco Meli (Almaviva) ha voce pulita, piena, intensa; la tessitura del Conte è perfetta per lui, che la affronta con gusto, stile, tecnica e soprattutto timbro pulito e luminoso; piena di accenti sentimentali è la canzone alla chitarra, da commedia goldoniana la canzone al piano durante la lezione di musica. Franco Vassallo è un Figaro potente che entusiasma il pubblico con la cavatina; buona la recitazione e adeguate le capacità vocali. Annick Massis è una Rosina sopranile, la voce non è grande ma utilizzata con sapienza, risultando corretta ed agile, ricca di colori, curata nel legato e nella dizione; attorialmente conquista per il sorriso furbo e la presenza aristocratica. Strepitoso il Bartolo di Bruno De Simone: grande intelligenza artistica per rendere un personaggio sfaccettato e non il generico buffo, molto divertente senza mai essere macchietta; bene anche sul fronte del canto, con il capolavoro nel fraseggio nella scena della barba (bravissimo quando canta saltando la corda che Rosina e Almaviva fanno girare). Affascinante il Basilio di Marco Vinco, dalla voce bella e bene usata, con le note tutte a fuoco e i versi scolpiti nella “Calunnia”. A completare il cast la Berta di gran lusso di Francesca Franci, spassosa caratterista e perfetta cantante nella sua aria. Con loro Dario Giorgelè (Fiorello e Ambrogio) e Maurizio Magnini (un ufficiale).
Non convince la direzione di Antonio Pirolli, spesso manca l'appiombo orchestra-cantanti (nel quartetto del secondo atto, ad esempio), i tempi sono allargati, il suono è poco leggero e mai trasparente, manca il frizzante. Anche il coro, preparato da Marco Faelli, è parso poco puntuale. Adeguati gli interventi del corpo di ballo diretto da Maria Grazia Garofoli. Qualche posto vuoto in platea, gremiti gli altri settori. Pubblico entusiasta, moltissimi applausi, un trionfo alla fine per tutti.