Che meraviglia!
Che meraviglia Massimo Venturiello, un attore e regista non comune! Che meraviglia le variegate musiche del Maestro Germano Mazzocchetti! Che meraviglia i ricchi costumi di Santuzza Calì! Che meraviglia di spettacolo: fantasioso e magistrale, da nuova vita alla bella pièce di Molière!
“Il borghese gentiluomo” è una delle più felici invenzioni comiche del drammaturgo francese a cui la creatività registica di Venturiello aggiunge del suo, la bravura degli attori-cantanti da lui diretti mette il resto e le musiche, i costumi e le scene completano l’opera.
Si ride ininterrottamente dall’inizio alla fine, per quasi 3 ore di spettacolo puro. E ci si sorprende per tutta la durata, per lo stesso motivo.
Chiamarla pièce teatrale è riduttivo: si tratta di un vero e proprio “spettacolo”! C’è la drammaturgia teatrale, ma ci sono anche canti e balli, regia e creatività. Prosa e intermezzi. Tutti integrati tra loro grazie all’abile regia di Venturiello.
Monsieur Jourdain, un ricco mercante, si è invaghito di una marchesa e, per conquistarla ed innalzarsi al suo rango, cade vittima di un nobile impostore (innamorato anch’egli della Marchesa Dorimène) che gli chiede soldi a scrocco, nonostante la sua più realistica consorte tenti di farlo ragionare e la figlia sogni di maritarsi con un pari grado.
L’ingenuo monsieur Jourdan vuole imparare tutto quanto vi sia di più nobile e utile per omologarsi ai reali. Con impegno ed entusiasmo, ma anche con grande mancanza di discernimento, prende lezioni di ogni sorta da grossolani maestri di danza, scherma, filosofia e musica… perché, concludono, al mondo ci sarebbero meno guerre se la gente imparasse la musica o la danza. Quale sia la migliore tra tutte queste arti, però, scatena una “guerra” tra i vari maestri!
Si fa cucire persino un abito a somiglianza di quello dei nobili da parte di un sarto tanto maldestro quanto convincente che lo trasforma in un “gallo cedrone”,… come lo definisce la moglie oramai indispettita! La sua immagine, effettivamente, appare a metà tra un gallo ricoperto di piume colorate, un hippy con le treccine sui lunghi capelli e un pirata scapestrato alla Johnny Depp.
Quando tutto sembra volgere al peggio, all’improvviso, spunta un misterioso paggio reale mediorientale che racconta a Jourdain di conoscerlo da quando era in fasce e che dice di essere venuto perché il suo signore, il Gran Turco, ha intenzione di spostare sua figlia, dando a lui il nobile titolo di “Mamaloch” (evidente gioco di parole per intendere, più verosimilmente, un “mammalucco”!!! cioè una persona sciocca o goffa – peraltro è da notare che la parola deriva dall’arabo e che in origine indicava gli schiavi, non di certo i nobili). In realtà, si tratta di Cleonte e del suo servo Coviello, sotto mentite spoglie, che riescono così a coronare il loro sogno d’amore sposando rispettivamente la figlia e la serva dell’estasiato, e quanto mai improbabile nobile turco, Mamaloch Jourdain, con il beneplacito e segreto accordo della moglie di quest’ultimo.
Lo spettacolo è stato scritto dal drammaturgo francese Molière nel 1670 per il divertimento del re Sole, ma il regista Venturiello ha optato per un’ambientazione che, sebbene sia dichiaratamente parigino-napoletana, in realtà è universale. Basta guardare i dialetti utilizzati. La pièce alterna italiano a esclamazioni in napoletano; ma la servitù di Monsieur Jourdain ed il sarto parlano marchigiano; Coviello, invece, dialetto nordico. Poi, ovviamente, si passa al finto linguaggio ottomano del Gran Turco e del suo servo-interprete: in realtà, di nuovo dialetto del nord-Italia (che Jourdain non comprende… ma noi del pubblico sì!!!).
Quindi, lo spettacolo si colloca volutamente al di fuori di limiti geografici e anche temporali.
La pièce è una grande opera di satira nei confronti dell’ignoranza, dei nuovi vizi dell’epoca (quella seicentesca, ma anche la nostra, in cui conta più l’immagine che la sostanza) e della nuova categoria sociale del borghese, all’epoca in fermento ed in ascesa.
Tutti i nuovi vizi del Seicento sono presenti, a cominciare dal caffè, nuovo lusso dell’epoca… e peraltro orgoglio napoletano (e qui torniamo all’ambientazione napoletana voluta da Venturiello che infatti sceglie di mettere sulla scena la cuccuma napoletana e non la più diffusa moka!).
All’origine, quella prevista da Molière era una commedia-balletto in 5 atti, separati ciascuno da un intermezzo danzato, musicato all’epoca da Lully.
La grandezza registica di Massimo Venturiello sta nell’andare oltre. Allo scandire degli atti, ma anche all’inizio, al termine dello spettacolo, e nel mezzo di essi, ci sono varie combinazioni di tutto ciò che ha a disposizione: canzoni dall’aspetto popolare (cantante da Tosca o da ensemble degli stessi attori, a volte dal proscenio e dai palchetti), altre più colte o romantiche, gruppi di più popolari (e napoletani!) Pulcinella danzanti e tamburellanti, la cantante-luna Tosca, le canzoni cantante dall’intero cast, o solo da Venturiello, le melodie simil-turche, le coreografie danzate, quelle di scherma, o i movimenti scenici …
I cambi di scena sono veloci e curati e la scena diventa un interessante susseguirsi di quadri avvincenti. L’insieme di ogni cosa che fa la compagnia è strutturato in un’esecuzione impeccabile, sempre fluida, naturale, pur partecipando ad un organico collettivo.
Le scenografie e i costumi sono una splendida cornice a tutto questo vivace “movimento”.
Venturiello nelle note di regia dice di trovare riduttivo il termine "comédie-ballet" dato da Molière alla sua pièce. Ed effettivamente lo è, anche perché nello spettacolo proposto dal regista italiano c’è poco ballo e molto più canto. Ma lo stesso artista non propone un nome migliore. E’ però consapevole di aver creato uno spettacolo complesso, ricco di elementi che coinvolgono e divertono lo spettatore, realizzato con il preciso scopo di allestire un <<prodotto fortemente popolare>
Io lo definirei, con una terminologia semplice, ma esplicativa, spettacolo (o commedia) teatral-musicale. E posso confermare che non solo è un prodotto adatto ad un pubblico popolare, ma va addirittura molto oltre. Si tratta di un “prodotto” (come lo chiama Venturiello) di regia. Il suo intervento registico si sente.
Non si tratta di un musical e neanche di una commedia musicale. Ma di qualcos’altro. Pur essendo una commedia scritta secoli fa da uno dei massimo commediografi di sempre, è più strettamente legata al concetto di regia. Qui, le canzoni sono perfettamente integrate nello spettacolo stesso (prima ancora che nella commedia!), costituiscono lo spettacolo (dato che sono proprio l’argomento del testo, ma ancor più della regia e degli elementi simil-onirici che ne trasmettono l’atmosfera) e contribuiscono a sviluppare un tono quasi-farsesco nella pièce. Tutto questo la rende differente dai due generi summenzionati del musical e della commedia musicale nei quali, invece, le canzoni e le danze, pur facendo parte della pièce, rappresentano il “linguaggio” utilizzato (in senso drammaturgico!), delle microscene di stacco o a parte (per una questione proprio di caratteristica di quei generi!!!).
La splendide e variegate musiche, che non sono cornice, ma parte integrante dello spettacolo, sono affidate alla composizione del Maestro Germano Mazzocchetti. Già in passato Venturiello si era avvalso della sua collaborazione in un spettacolo dal titolo “La strada” (tratto dal film di Federico Fellini), anche lì la parte femminile era affidata a Tosca, e ha vinto ben 3 categorie dei Premi ETI – Olimpici del teatro 2009: miglior spettacolo musicale dell’anno, miglior autore di musiche (Mazzocchetti quell’anno vinse il premio sia per questo spettacolo che per “Donne informate sui fatti”, regia di Beppe Navello) e migliori costumi (all’epoca affidati a Sabrina Chiocchio).
Interessantissima, quindi, la regia di Venturiello che arricchisce, altresì, la già ben fornita pièce (certamente una di quelle in cui Molière ha dato il meglio di sé), oltre che con le musiche originali e coinvolgenti del pluripremiato Germano Mazzocchetti (l’ultimo riconoscimento ricevuto è stato come miglior autore di musiche a “Le maschere del teatro 2012”), anche con le coreografie di Fabrizio Angelini.
La sua è una regia mai scontata o banale, ma portata a stupire, oltre che ad intrattenere e divertire. D'altronde, quello del regista è un ruolo destinato, oltre a dare una linea di lettura al testo, anche a dare fluidità, a dare forma visuale alla scene, perché no?, eventualmente anche trovando dei riempitivi che aiutino la presentazione/movimenti generali. Venturiello fa tutto questo.
Il cast di “Il borghese gentiluomo” si è dimostrato affiatato e, evidentemente, si è divertito ad interpretare i ruoli cui ha dato vita.
Tutti i personaggi sono delineati con notevole maestria. Sono inconfondibili e veritieri. Peraltro ogni attore ha dato vita a due o più "caratteri" diversi.
Massimo Venturiello ha riservato per sé il ruolo del Monsieur Jourdain. E d'altronde può permetterselo, dando sfoggio alle proprie doti comiche e vocali, attoriali e canore. E' un artista coinvolgente che padroneggia il palcoscenico con una straordinaria capacità interpretativa e di interazione con gli altri attori del cast, in perfetta simbiosi.
D'altro canto, ha un cv di tutto rispetto sulle spalle. In trent’anni di carriera ha spaziato dalla tv al cinema (con registi del calibro di Salvatores, Scola, i fratelli Taviani e Rubini) al doppiaggio (ha persino prestato la voce a Kitt del telefilm “Supercar” negli anni ’80 e poi ad attori come Colin Firth, Dennis Quaid e Gary Oldman). Ma ancora più variegata è stata la sua attività teatrale. Dopo il diploma all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, ha collaborato con artisti come Barbareschi, Solari e Gazzara, alternando testi classici ad altri contemporanei per poi approdare al teatro musicale che porta avanti da anni con Tosca, splendida cantante, dalle doti vocali indiscutibili, nota al grande pubblico per aver vinto un Festival di Sanremo in coppia con Ron ma che, in realtà, sfrutta da tempo le proprie doti canore anche in campo teatrale, in particolare proponendo spettacoli di teatro-canzone.
In questo stesso spettacolo, sono lasciati a lei e alla sua immagine sbrilluccicante nell’abito lungo dorato, misteriosa come una fata, divistica, potente, ma al contempo forte e delicata, lunare, la maggior parte dei brillanti intermezzi canori.
A nulla vale lodare, però, solo la sua voce se non si fa lo stesso anche con gli altri attori della pièce. Tutti infatti si sono dimostrati dotati di grandi capacità canore alle quali hanno dato fondo durante le quasi 3 ore di spettacolo.
In particolare, vale almeno la pena di ricordare il “caso” di Elena Jador Braschi, cantante dalla possente voce di soprano, che alterna l’attività lirica alle commedie e che, qui, prima ha ricoperto il ruolo di una cantante russa, poi quello della Marchesa Dorimène… ed infine si è prodotta in una sensuale danza del ventre turca.
Da menzionare per bravura anche l’attore Camillo Grassi, nel ruolo prima del filosofo, poi di Coviello ed infine, ovviamente, del servo-interprete del Gran Turco.
Ma è inutile dire, a questo punto, che tutti sono stati bravi. Gli altri attori sono: Mimmo Padrone, Elisa Smerilli, Viviana De Angelis, Franco Silvestri, Luca Notari e Gennaro Cuomo.
Una menzione la merita anche la scenografia di Alessandro Chiti, panna, beige e oro, composta da una serie di alte vetrine piene di teli, panni, pizzi, orologi, spille e cappelli… Una specie di museo o di negozio! Un enorme armadio nel quale perdersi. Adatta a descrivere la ricchezza confusionaria di Monsieur Jourdain. O la ricchezza del Gran Turco e del Mamaloch (nel cui caso si aggiungono, ovviamente, i tappeti!).
E poi, un plauso va fatto ai ricchi e colorati costumi di Santuzza Calì, settecenteschi (o giù di lì), seguiti da quello da spavaldo gallo cedrone per Monsieur Jourdain, quello scintillante per gli intermezzi di Tosca e infine quelli orientali per i turcomanni. Molto belli.
Un allestimento ricco, evidentemente realizzato con una caparbia volontà di mettere in scena il “grande” teatro, a dispetto della crisi e dei tagli che oggi governano le logiche di mercato.
In conclusione, si tratta di uno spettacolo teatrale bello, da uno dei maggiori drammaturghi mondiali, con bravi protagonisti, grandi attori; una splendida messa in scena e una regia geniale, ben studiata, vivida e creativa. Venturiello ha saputo proporre l’opera di Molière con classe, gusto e divertimento.
Uno spettacolo bellissimo, spassoso, pieno di ritmo ed energia, che lascia nel pubblico delle emozioni vere, risate e felicità per aver assistito ad uno dei migliori spettacoli in circolazione.
Trovo Venturiello un grande regista. Frizzante. Mi piace. Il suo dinamismo e la contaminazione stilistica che mette in atto mi sembrano qualità rare nel teatro italiano.
Bravo chiaramente a Massimo Venturiello, ma anche agli altri.
Molti gli appalusi a scena aperta. Lunghi e meritati, quelli tributati dal pubblico dello storico Teatro Marrucino di Chieti a questa eccezionale compagnia alla fine dello spettacolo.
Una rappresentazione bellissima. Straordinaria. Da vedere e rivedere.
Fortunato chi potrà assistere alle ultime (per questa stagione teatrale) repliche della pièces, previste, il 23 marzo a Lecce e poi il 24 a Castellammare di Stabia (NA). Poi le repliche riprenderanno in autunno.