Dal 4 Febbraio al 6 Marzo 2011 Antonello Avallone dirige ed interpreta al Teatro Dell’Angelo di Roma “Il Cappello Di Carta” di Gianni Clementi, interpretando Leone, il padre di famiglia, affiancato anche stavolta da Sergio Fiorentini nel ruolo del “nonno” e da un cast impeccabile: Eliana Lupo, Susy Sergiacomo, Patrizia Ciabatta, Aliosha Massine, Simone Sgambato prestano ognuno la propria simpatia, spontaneità e verve comica “romana” a ciascun elemento.
Scambi di battute di estrema semplicità ed incredibile realismo animano la prima parte dello spettacolo, in cui ci viene presentato il nucleo famigliare che convive in un appartamento della Roma degli anni ‘40. Le situazioni comiche che si creano dentro le mura di casa sono strettamente legate alla banale quotidianità e quand’anche ci sia l’elemento “straordinario” ad affacciarsi nei gesti e nei discorsi dei personaggi – la guerra e i bombardamenti – pure questi sono affrontati con una certa indifferenza e noia, come fossero ormai parte della routine di ogni giorno, e sono talvolta persino preferiti al caos che governa i loro rapporti difficoltosi (Candido riesce finalmente a dormire “in pace” quando resta da solo in soggiorno e fuori si sentono le bombe, mentre tutti gli altri sono andati a rifugiarsi). Viene rappresentato un microcosmo dove nulla sembra mai dover davvero cambiare, in contrasto con le rivoluzioni che avvengono all’esterno di esso.
Durante la notte insonne della prima scena non accade, quindi, nulla di oggettivamente interessante ma i personaggi, ben caratterizzati dagli interpreti della compagnia, riescono a conquistare ugualmente la nostra attenzione; l’ironia e la comicità paiono innate in ciascuno o forse sono necessarie per sdrammatizzare e superare le difficoltà. I litigi tra parenti e le considerazioni che essi fanno potrebbero, così, sembrarci comuni a quelli di tante altre famiglie di oggi le cui “faccende domestiche” sono chiaramente peggiorate da una condizione di estrema povertà.
Tipologie di uomini e donne diverse e legati ognuno alla propria generazione, si scontrano e si mettono a confronto, condividono o pure contrappongono i loro piccoli “drammi” famigliari e il loro sogni semplici ma importanti e motivo di discussione – o piuttosto, di svago – può essere anche costruire un cappello col giornale.
Se la prima parte dello spettacolo è caratterizzata da ritmi frenetici e coinvolgenti, si cambia poi ritmo e tono per passare ad una fase di “immobilità” in cui percepiamo l’impotenza dei protagonisti di fronte ai fatti “di fuori” ai quali assistono e che ci riportano nei loro drammatici racconti.
Toni di Tore sceglie luci soffuse e basse, per la maggior parte delle scene – quelle notturne, quelle di sofferenza ed attesa, quelle dei monologhi – e le “accende” solo nei rari momenti di affetto, romanticismo o allegria, coinvolgendo anche lo spettatore in una condizione di tensione o relax, mettendo alla prova o piuttosto agevolando la sua vista per seguire le vicissitudini dei protagonisti.
Red Bodò realizza una scenografia curata, ricreando gli interni di un appartamento ricco di dettagli, consentendo anche agli attori di ricorrere a numerosi oggetti di scena; contribuisce così ad enfatizzare il realismo dello spettacolo ma per un risultato che rappresenti comunque una condizione d’indigenza.