In occasione del primo centenario della nascita del compositore Nino Rota (1911 – 1979), il teatro Sociale di Rovigo, in coproduzione con il Circuito dei teatri lombardi e con il teatro dell’Opera Giocosa di Savona, ha messo in scena l’opera senza dubbio più significativa della carriera operistica di Rota: Il cappello di paglia di Firenze. Nino Rota è noto soprattutto per la sua carriera di compositore di colonne sonore, per cui vinse anche un Oscar nel 1975 per il film Il Padrino II. Particolarmente significativa è la collaborazione con Federico Fellini, iniziata nel 1944 e terminata solo con la morte di Rota; da quel momento ogni film del regista porterà la colonna sonora firmata dal nostro compositore: memorabili sono le musiche per film come La strada e Le notti di Cabiria. Dal 1933 alla morte collaborerà anche con i principali registi italiani e stranieri, dando vita a melodie celebri. Però sarebbe riduttivo limitare la carriera di Rota al solo cinema; egli nasce come compositore sinfonico e innumerevoli sono le sue produzioni, da concerti per pianoforte a musica per orchestra, da musica vocale a musica da camera; al suo attivo vi sono infine undici opere liriche, pregevoli e musicalmente importanti, tra cui emergono Il cappello di paglia di Firenze, appunto, La notte di un nevrastenico e Napoli milionaria (anche le più rappresentate). Non è facile racchiudere in una definizione un compositore come Rota, tra i più importanti del XX secolo, avendo spaziato in ogni campo; la sua musica rimane piacevole e orecchiabile, usando un linguaggio eclettico ma ancorato alla tradizione musicale italiana.
Rota scrisse Il cappello di paglia di Firenze – farsa in quattro atti su libretto proprio - nel corso delle estati del 1944 e 1945; l’opera ebbe la prima, trionfale rappresentazione al Massimo di Palermo nel 1955, per poi raccogliere successi nei maggiori teatri del mondo. Il cappello di paglia di Firenze è il prodotto tipico di quella semplicità del teatro di Rota che è sinonimo di schiettezza e non di banalità: un teatro nel quale si ritrovano, accanto al fascino del café chantant, elementi della commedia musicale ottocentesca, ripresi e riproposti con grazia ed eleganza. In questo lavoro il compositore ha proiettato nella struttura del vaudeville echi veristi e del melodramma verdiano, ma ha operato anche una geniale sintesi musicale delle colonne sonore che già aveva consegnato al cinema.
L’azione comica si svolge in un giorno solo, quello delle nozze tra Elena e Ferdinand. Tutto ha inizio quando il cappello di paglia di una signora sposata, a spasso con il suo amante, viene inavvertitamente mangiato da un cavallo. Da questo pasto un po’ anomalo (il cappello era un dono del gelosissimo marito della signora), prende il via la vivace farsa musicale ricca di equivoci, malintesi e continui colpi di scena.
La regia di Elena Barbalich, essenzialmente e piacevolmente tradizionale ma con un tocco di novità, è efficace e accattivante, sa seguire il continuo cambiamento di situazione in maniera omogenea e le macchiette sono divertenti, mai eccessive; il Cappello è una commedia/favola, drammaturgicamente zoppicante, senza troppe implicazioni sociali; tentare di introdurvi un contenuto politico, sfruttando le diverse estrazioni dei vari personaggi, dalle sartine al giogo della modista, al coro di parvenue campagnoli parenti della sposa, è una forzatura. La Barbalich ha invece saputo rendere il tutto estremamente raffinato senza togliere nulla alla parte umoristica, riuscendo in pieno a non tradire lo spirito di questa composizione e a creare un’atmosfera volutamente surreale, sottolineando l’aspetto ludico e corale dai ritmi vorticosi.
È stata coadiuvata da Danilo Rubeca che ha curato anche gli allegri movimenti coreografici, primo fra tutti il piacevole coro delle modiste nel primo intermezzo. Tommaso Lagattola ha disegnato bellissimi costumi d’epoca e allestito scene essenziali, ispirate al Neoclassicismo teatrale francese del primo ’900, fatte da quinte di grate lignee con due porte laterali, pochi arredi quali tavoli, sedie, paraventi, il tutto però in un filone tradizionale e con gusto.
Il cast era composto per lo più da giovani cantanti usciti dal concorso A.S.L.I.C.O., voci discrete e che in generale si armonizzavano con la produzione. Convincente soprattutto la prova di Leonardo Cortellazzi (Fadinard), efficacissimo, che interpreta il personaggio molto bene ed esegue la parte musicale con voce chiara e leggera, morbida e duttile, omogeneo nel passaggio all'acuto, dimostrando di possedere una buona linea di canto. Domenico Colaianni è lo strabordante Nonancourt, simpatico ed istrionico attore e cantante, che ha saputo rendersi piacevole e personalizzare il personaggio, grazie al corretto uso degli accenti e dell’ottimo recitativo.
Simone Alberti nel ruolo di Emilio è parso eccessivamente stentoreo e inespressivo, con problemi di emissione vocale e ricadute non sempre positive sul timbro. Marianna Vinci è stata una più che convincente Baronessa Champigny, voce leggermente brunita, corretta, piacevole, anche se con acuti poco limpidi. Prova positiva per Manuela Cucuccio in Elena, molto realistica, bella voce, ma purtroppo ancora acerba e con poca tecnica. Anna Maria Sarra, in Anaide, non è sempre all’altezza della prova. Filippo Fontana, in Beaupetuis, ha dato una buona prova, grazie a un bellissimo timbro e buona duttilità di emissione, a uno squillo luminoso, agli acuti ben saldi e al fraseggio espressivo.
Efficace Roul D’Eramo nel duplice ruolo dello zio Vezinet e del Visconte Achille.
Ricordiamo infine Roberto Covatta nei panni di Felice, molto credibile sia nella voce che nel personaggio; Silvia Giannetti, incerta nel ruolo della modista; Alessandro Mundula e Jozef Carotti, una guardia e un caporale.
L’orchestra sinfonica di Sanremo, ben diretta da Giovanni Di Stefano, esalta la varietà della partitura e tesse con coerenza la trama della composizione. Il maestro Di Stefano, direttore artistico dell'Opera Giocosa, dà una lettura godibile della partitura, in grande sintonia con il palcoscenico.
Il coro del Circuito Lirico Lombardo, guidato da Antonio Greco e Diego Maccagnola, dà una prova discreta.
Ci è parso che il pubblico rodigino abbia accolto Il cappello di paglia di Firenze con quell’entusiasmo che ne decretò lo straordinario successo a Palermo nel 1955, apprezzando nel complesso la gradevole messa in scena, la buona schiera di cantanti e l’egregia prova di coro e orchestra; senz’altro è un titolo al di fuori dell’ottica eccessivamente tradizionale di un certo pubblico, ma è riuscito a captare la gradevolezza della partitura e il fine umorismo, nonché la piacevole regia. I numerosi posti vuoti erano certamente dovuti anche alla fitta nebbia che copriva tutta la pianura padana.