La "farsa musicale in quattro atti e sei quadri", proposta in un allestimento fantasioso e garbato già apprezzato al Petruzzelli di Bari, conquista il pubblico napoletano.
Gioco scenico e densità di richiami
La partitura del ”Cappello di paglia di Firenze”, realizzata da Nino Rota nel 1945 più per svago che per progetto, può essere letta (e goduta) a diversi livelli. È innanzitutto un congegno teatrale efficacissimo, che scorre senza cali di tensione e senza sbavature e si rivela capace di tenere desta l’attenzione dello spettatore sorprendendolo con trovate deliziose. In questo la pièce è senz’altro debitrice della sua fonte francese, la commedia Une chapeau de paille d’Italie di Eugene Labiche, dalla quale il maestro ricava personalmente il libretto con la complicità della madre Ernesta Rinaldi.
Tuttavia, oltra a dispiegare una scoppiettante girandola di invenzioni sceniche esilaranti, il Cappello invita l’ascoltatore consapevole a un raffinato viaggio musicale che ripercorre le principali tappe della storia dell’opera. Il dramma giocoso settecentesco, Rossini, Verdi e Puccini sono coinvolti in un lieto gioco di citazioni dissimulate o di sottili riecheggiamenti, nel quale non c’è ostentazione erudita ma puro piacere dell’allusione sghemba e dell’ammicco.
"Il cappello di paglia di Firenze" Foto di Carlo Cofano
Non sfugga, infine, il dialogo con il copioso serbatoio delle colonne sonore, sostanziato non solo da autoimprestiti puntuali, ma da una più profonda padronanza di mezzi espressivi e di strumenti linguistici. Il risultato è una creazione al tempo stesso densa e lieve, intelligente ma mai supponente, raffinata eppure accessibilissima e pienamente godibile.
L’allestimento del San Carlo rende assai bene la lettera e lo spirito di questo piccolo gioiello di grazia e di ironia. Le scene di Tommaso Lagattolla, che firma anche i costumi, sono mobilissime e cangianti. Pochi elementi ben scelti e ancor meglio caratterizzati bastano a definire gli ambienti e le atmosfere. Riuscitissimi risultano inoltre i cambi a vista, nei quali il tratto si assottiglia fino alla bidimensionalità sussurrata di delicate silhouettes.
La regia di Elena Barbalich caprioleggia tra avanspettacolo e fumetto, utilizza con giusta misura l’accumulo e la ripetizione meccanica del gesto, visita i territori della farsa senza perdere di vista l’eleganza e lavora in perfetta sintonia con la musica per sottolineare sorprese ed equivoci, tenerezze sentimentali e burbanzose spacconerie.
"Il cappello di paglia di Firenze"
Un cast di buon livello
Tutti spigliati e disinvolti, gli interpreti vocali contribuiscono in misura cospicua alla vivacità della performance. Spicca Gianluca Buratto nella parte del rozzo Nonancourt: la voce è piena e raggiunge le note più profonde senza incertezze e senza difficoltà; il gesto è sapientemente amministrato e rende alla perfezione la simpatica grossolanità del personaggio. Bruno de Simone tratteggia con proprietà il profilo del gelosissimo Beaupertuis. Pietro Adaini conferisce a Fadinard un’adeguata dose di energia, pur se all’interno di una prova un po’ discontinua. Ottime le caratterizzazioni di Marco Miglietta (lo zio Vézinet), Roberto Covatta (Felice) e Dario Giorgelè (Emilio).Sul versante femminile, Zuzana Marková (Elena) si fa apprezzare per l’agilità, mentre Anna Malavasi dà vita a un’interpretazione da manuale dell’eccentrica baronessa di Champigny. A tenere insieme i molti colori del Cappello provvede Valerio Galli, che dirige con gesto vivace e costante entusiasmo senza però sacrificare la precisione e il dettaglio.
Il pubblico si diverte davvero.
Spettacolo: ”Cappello di paglia di Firenze” Visto al Teatro San Carlo di Napoli.