Prosa
IL CAPPOTTO

Braccio morto, gomito fles…


	Braccio morto, gomito fles…

Braccio morto, gomito flesso, sgusciamento. La delicatezza nei movimenti e la prudenza nell’infilarsi il cappotto sono fondamentali, per Akàkij Akàkievič. Un indumento ormai ridotto ad un cencio, divenuto ormai una vestaglietta trasparente, utilizzabile solo adottando quella tecnica, per fronteggiare il freddo inverno russo. L’alternativa sarebbe quella di comprarne uno nuovo… quello che il protagonista fa ma, con un certo cinismo a posteriori, sarebbe stato meglio non procedere con l’oneroso acquisto: il furto subito in una notte buia e gelida porta Akakij alla disperazione totale e alla prematura morte.

Ogni volta la stessa storia: chi troppo vuole, nulla stringe, direbbero i più disillusi. Ma non è la brama di avere quello che non si può ottenere a motivare le scelte di Akakij. Lui, in realtà, è un uomo onesto, semplice e senza pretese, dalle piccole gioie, talvolta incomprensibili ai più - basta una boccetta di inchiostro rosso e l’idea di copiare qualcosa per farlo felice. Vive, tuttavia, in un mondo che corre veloce, attento alla forma più che alla sostanza, talvolta becero e materialista, che giudica tutto e tutti, senza prestare troppa attenzione alle persone e alle varie circostanze a cui la vita ci costringe. 

Nonostante ciò, già a metà del primo atto, si capisce che non è la solita cupa rappresentazione di una storia, non certo allegra, dalla trama tutto sommato semplice. Inaspettatamente, ci sono diversi momenti in cui si sorride, e si ride anche, soprattutto per via del protagonista, un magistrale Vittorio Franceschi che ha compiuto una scelta indovinata, per quanto inevitabile, nel ricorrere a molti più dialoghi di quanti non vi siano nell’opera originale. La netta contrapposizione tra bene e male poi, pur non scomparendo del tutto, appare smorzata - i “cattivi” lo sono ancora, ma somigliano più a delle simpatiche canaglie che non a degli orchi feroci - e la componente femminile del cast contribuisce a questo bilanciamento. Un certo equilibro emerge anche nella distribuzione dello spazio teatrale, sapientemente diviso tra tre ambienti diversi e nell’avvicendamento delle scene, come se non vi fosse mai alcuna interruzione.

Un adattamento quello proposto che non scontenterà i cultori della letteratura russa, rimanendo fedele all’opera originale ma dando un tocco di freschezza e modernità ad una storia che, nonostante la sua inconfutabile attualità, potrebbe sembrare datata e lontana dalle nostre vite.

Visto il 11-12-2014
al Carcano di Milano (MI)