Prosa
IL CAPPOTTO

Morire per convenzione

Morire per convenzione

"Camminare per strada di notte è pericoloso, ancor di più se sei felice: le forze del male lo sentono e subito ti raggiungono per riportarti alla tua triste realtà" in questo modo il sarto filosofo con un occhio solo, perché l'altro lo ha perso sui libri in cerca di un riscatto sociale mai avvenuto, sintetizza la storia di Akàkij Akàkievic – Vittorio Franceschi – copista per amore nonché protagonista del racconto "Il Cappotto" di Gogol'.

Akàkij Akàkievic, funzionario ministeriale ai tempi dello Zar Nicola I, non ha mai avuto altra aspirazione che fare il copista un po' per tradizione familiare ma soprattutto perché per farlo non è richiesto pensare: occorre solo copiare il pensiero di altri e questo per Akàkij Akàkievic è sufficiente a fare del copista il mestiere più bello del mondo. Un uomo appagato dal suo lavoro, anche se i 400 rubli di stipendio non gli permettono di vivere senza difficoltà economiche e nemmeno di coronare il suo più grande desiderio: comprare una boccetta d'inchiostro rosso per i capoversi delle sue copie. Una vita quindi regolare consumata nel quotidiano tragitto casa – ministero e ritorno, fatto da sempre e che potrebbe durare per sempre... se non arrivasse l'inverno e con esso la costatazione che il cappotto di Akàkij Akàkievic si è ridotto ad una lisa vestaglietta e dev'esser cambiato. Da qui l'inizio della rovina che passa dapprima dalla disperazione per l'impossibilità di avere i rubli necessari per il nuovo cappotto, per passare alla pura gioia grazie all'inaspettata entità della gratifica natalizia che rende possibile l'acquisto, fino ad arrivare alla bramosia e in seguito alla felicità per il possesso di un bellissimo cappotto marroncino cachi con collo di pelo di gatto di Parigi. Il tutto assume il valore di un percorso d'iniziazione messo in essere per elevare il nostro umile funzionario, il quale però fallisce per eccesso di felicità peccando verso Dio, forse.... o forse perché Dio, o meglio il destino, non essendo orbo da un occhio come il saggio sarto ha una visione talmente distorta da non permette il riscatto sociale degli uomini russi. Fatto sta che il povero Akàkij Akàkievic di ritorno a notte fonda dalla prima festa in suo onore e del cappotto cachi, viene aggredito da due ladri subendo il furto di quello che era diventato il suo bene più prezioso alla cui perdita non sopravvive.

L'adattamento teatrale di Franceschi e l'allestimento di Alessandro D'Alatri restituiscono molto bene le atmosfere grigio polverose pietroburghesi di fine 800 e i principali temi del racconto di Gogol' (la miseria, la differenza di classe, l'impossibilità del riscatto e la crudeltà del destino) realizzando un affresco lucido e pulito senza chiaroscuri che piace per la bellezza dello stile ma che lascia poco spazio all'introspezione sfumando in un ricordo dopo pochi passi fuori dal teatro.


L'Akàkij Akàkievic di Franceschi riesce a farci sorridere delle le sue manie e paure, con la gestualità quasi clownesca – ad esempio quando scivola fuori e dentro alla sua vestaglietta – ma in fondo ci rimane un poco antipatico o addirittura indifferente per il suo essere così insignificante da non riuscire a coinvolgere empaticamente al suo dramma. Gli stessi personaggi che gravitano attorno al copista come il sarto studioso, un ottimo Umberto Bortolani, e il poeta ubriacone, Giuliano Brunazzi, si limitano, magnificamente, a regalarci motti e verità come pillole sagge o poetiche restando però quasi sempre a lato della storia. Uno spettacolo quindi che ben comincia e attrae immediatamente per colori, musiche e presentazione dei personaggi ma che poi scivola via senza che nulla accada che spinga a compiere quell'ultimo passo per lasciarci coinvolgere completamente: ed è un vero peccato.

Visto il 19-11-2013
al Ivo Chiesa di Genova (GE)