Ci sono un po' troppi lati, dai quali si può leggere questa storia così ignominiosa dell'Italia repubblicana. Davvero un po' troppi.
Le interpunzioni del sax di Stefano Russo giungono a proposito anche per questo. Spezzano un ritmo incessante di idiozie e di scandali al contrario, ed è uno dei pochi interventi marcati di una regia che giustamente fa qualche passo indietro per lasciare più scena alla sostanza, che è davvero tanta.
Aldo Braibanti sulla scena definisce subito i termini della questione: si tratta del "più eclatante caso di discriminazione che l'Italia ricordi"... ma il fatto vero, è proprio invece che l'Italia non ricorda.
Nell'ottima alternanza di Fabio Bussotti e Mauro Conte, che con la loro presenza esemplare sia nei contrappunti, sia nei due monologhi finali forniscono una prova eccellente, emerge dunque una storia nella quale non c'è un solo spunto, uno qualunque, cui l'Italia degli anni '60 possa aggrapparsi per giustificare una via crucis.
Al di là della storia che si può leggere in una trama che sembra un film neorealista di serie B piuttosto che la realtà dei fatti accaduti, sarebbe bene credo soffermarsi invece su alcune parole che si possono leggere sui verbali del processo: un "plagio maturato in ambienti pseudoartistici", compiuto da “un frustrato perché basso e stortignaccolo […] un buono a nulla, perché artista, e in quanto artista un corruttore d’anime” che bisogna "ricacciare agli inferi".
Se i cattivi maestri avessero piacere a considerarsi eroi, sarebbe stato un bel racconto, ma non ci scommetterei. A proposito, al di là del merito lombrosiano della sofisticata tecnica giuridica applicata con tanta veemenza, stiamo parlando di un reato di nome Plagio, che all’epoca in quanto residuato bellico del Codice Rocco, era appunto considerato pressoché nullo, e così sarebbe rimasto fino alla sua futura e non lontana cancellazione dall’ordinamento giuridico, se una notevole sequela di personaggi politicamente determinati non fossero riusciti a mettere il record, meritando un Guinness, ovvero creare l’unico condannato della storia per questo reato, Aldo Braibanti. Per non dimenticare gli effetti collaterali delle conseguenze sul suo compagno Giovanni Sanfratello, sottoposto sia ad aberrazione mediche fra cui un numero di quaranta elettroshock, sia a condanne ineffabili quali l’obbligo di non leggere libri che avessero meno di cento anni.
Le frasi che Massimiliano Palmese fa pronunciare ai due pluripersonaggi sono a volte di una spiazzante autorità morale, come nella difesa di Braibanti ("ma quella era la sua volontà... oppure avrei dovuto plagiarlo!" e "…ma l'amore stesso, è un plagio!"), e sono parole che si ascoltano meglio, nell'essenza di due sedie lontane ma che sembrano sempre strettamente affiancate.
Gesti di accompagnamento e nessun oggetto, ma l’aria viene egualmente solcata, ci sono fin troppi pesi a smuoverla, quest’aria irrespirabile come deve essere stata quella della quotidianità della vita di un omosessuale in quel periodo. Al mirmecologo Aldo, difeso poi soltanto dalla severa lucidità di Pasolini e non molti altri, il tardivo rincrescimento della società concesse nel 2006 il vitalizio della legge Bacchelli, che non modifica una sola piega dell’incredibile serie di sovversioni “al contrario” ("credevo che insegnare le proprie idee liberamente non fosse un reato nella nostra Repubblica, ma che fosse un reato impedirlo").
La sovversione di una sovversione forse dovremmo chiamarla eversione, o inversione; ed i due monologhi incrociati finali riescono anche a far sentire questo volo strano, che alle orecchie continua a fornire sensazioni tristi, siglando l’ottimo mix fra ricostruzione della cronaca ed espressione della recitazione.
Ancora oggi, sentire pronunciare le parole della sua condanna, ovvero 9 anni di carcere (la stessa pena comminata per i 2.121 morti del Vajont…) più le spese processuali, più le spese per il suo mantenimento in carcere, fa un certo effetto, in cui trovare attualità e passato congestionati, fa pensare a cosa ci siamo persi nella storia, ma soprattutto, fa schifo.
Prosa
IL CASO BRAIBANTI
Buoni, cattivi maestri
Visto il
21-03-2012
al
Nuovo
di Napoli
(NA)