Dorian Gray, il più celebre dandy della narrativa occidentale, personaggio per cui la nostra fantasia ha da sempre evocato preziosi broccati per arredare sofisticati ambienti fin de siècle, è questa volta immerso in un allestimento buio e scuro, più Poe che Wilde, più Sturm che molle sensualismo, come a volerci suggerire, sin dall’inizio della cupa messinscena, che non si tratta del raffinato eroe decadente, ma di un nuovo soggetto più gotico e sinistro, probabilmente più in linea con certe tendenze del momento, di vampiri a fumetti e best-seller di consumo.
Del resto già il titolo non ci offre dubbio alcuno: l’idea che ha mosso l’autore Giuseppe Manfridi ed il regista Pino Micol a realizzare questa discutibile e non certo vivace partitura a tre voci, interpretata con grinta ed audacia da un solerte Manuele Morgese, è quella di raccontare la storia di Dorian, di Henry e di Basil, come fosse una sorta di noir morboso e a tinte fosche, immaginando, crediamo, che basti smontare il plot originario, rimontandolo a lume di candela all’interno di una scenografia cimiteriale, per dar nuova linfa e nuova forza narrativa al capolavoro intramontabile di Wilde.
Le conseguenze, invece, sono di segno opposto: infatti, mentre da un lato l’atmosfera Gotham City, nel complesso un po’ abbozzata, appesantisce la storia azzerandone tutto il fascino e la seduttività, neutralizzandone l’intrinseco erotismo e gelandone i contrappunti armonici, dall’altro l’inspiegabile direzione registica trasforma Dorian/Henry/Basil in una caricatura da pièce per scolaresche, imbalsamando l’attore, di cui apprezziamo comunque il grande impegno, in un’impostazione stentorea e monocorde che appiattisce la voce, il gesto e qualsiasi suggestione.
Visto il
28-01-2010
al
Piccolo Bellini
di Napoli
(NA)