Prosa
IL CONTRATTO

Il Contratto di Carbone omaggia l'opera eduardiana

Il Contratto di Carbone omaggia l'opera eduardiana

Partiamo dal seguente presupposto. "Il Contratto" di Eduardo De Filippo, che per la regia di Pino Carbone e’ in scena dal 14 al 26 febbraio alla Galleria Toledo di Napoli, riesce, a differenza delle tante prove succedutesi nei decenni, a rendere omaggio all’opera dell’autore napoletano quale uno dei più abili indagatori dell’animo umano e a liberarlo, ancora una volta, dal preconcetto, purtroppo vigente in molti ambienti, secondo il quale le sue opere sono inscindibili dalla maschera, dal registro e dall’intensità del suo “unicum” di autore-attore-personaggio. La pièce in questione è una messa in scena a se stante che, per sua - diciamo così - fortuna, nasce da un testo di indubbia forza e beltà.

In pochi passaggi il plot della commedia, in tre atti, scritta da Eduardo nel 1967 per invito del direttore del XXVI Festival della Biennale di Venezia. Geronzio Sebeto, per pura casualità, passa per essere colui che ha resuscitato il suo fratellastro, Isidoro. Questo accadimento, porta il protagonista ad architettare una truffa capace di renderlo ricco, lui che, per alterne vicende familiari, è un classico povero in canna. La truffa suddetta consta nel far firmare, con spontaneo interessamento del coinvolto, un contratto in cui si chiede a Geronzio di essere resuscitati allorquando morte inaspettata li colpisca. Il firmatario in cambio dovrà perseguire una vita pia, avvicinare i parenti lontani ed aver creato intorno a sé una catena d’amore capace di riportarli in vita. E’ ovvio che egli non richiederà nulla in cambio, come recita il contratto stesso. Infatti, riuscendo ad amministrare il destino di una porzione dell’eredità del defunto ne trarrà il suo guadagno mentre i parenti, azzuffandosi in dispute ereditarie, saranno gabbati senza nemmeno accorgersene.

L’adattamento di Carbone definisce ogni atto dell’opera in modo apertamente autosufficiente, così da individuare tre atti unici totalmente indipendenti. Il primo incentrato sull’individuo, il secondo sugli affetti ed il terzo, d’epilogo, sulla società; così come dichiaratore dal regista stesso.
E‘ in questa prospettiva che l’opera assume una caratterizzazione esplicita associando, alle tre scene, un differenziato cromatismo, dall’ indubbio fascino estetico, con evidenti rimandi alla psicologia dei personaggi indagati ed alle relazioni psicologiche del gruppo sociale in cui essi agiscono. Il protagonista ci è presentato con la sua storia in un ambiente totalmente buoi dove la troupe giornalistica ed il brigadiere, venuti ad intervistarlo sono vestiti in nero, a contraddistinguere con immediatezza quale solitudine e sofferenza esistenziale giace “in nuce” al demiurgo dell’inganno inventato. Di seguito, a casa della famiglia Trociola, ove Geronzio si reca per effettuare la sua opera benefica, i familiari vestiti di bianco, sono pallidi ed emaciati in volto, quanto le loro coscienze incarognite dal loro stesso rancore e cinismo. Lo stesso cadavere è rappresentato da un manichino posto al centro della pedana che i congiunti montano, spostano e lustrano, facendolo a pezzi e trattandolo al pari degli stessi beni materiali di cui il defunto si è contornato nella vita terrena e di cui è stato prontamente depredato appena morto. Infine il terzo quadro, in cui la società, che ruota con i suoi legami d’affari intorno a Geronzio ed alla sua truffa, è resa con costumi colorati e con toni gaudiosi. I suoi componenti però, il notaio e lo strozzino ad esempio, sono a volto coperto da una maschera, essendo i loschi affari che perpetrano, afferenti all’ambito della vivace e disinibita vita sociale. Il questo insieme il protagonista è lì, quasi sempre al centro della scena, vestito con il suo abito scuro, il suo cappotto grigio, totalmente naturale mentre gli altri, son tutti, compreso Isidoro, il bon sauvage fratellastro resuscitato, manierati e dalla spiccata caratterizzazione. Ed infine la conclusione, con Geronzio che recita le ultime battute in un microfono, facendo rimbombare la propria voce in sala, ci ricorda la piazza Plebiscito de “Il Giudizio Universale” di Vittorio De Sica, è l’emblema di quanto anche se truffatore, lui  Geronzio, è davvero l’unico più prossimo a Dio. Egli si è reso creatore di un mondo finalizzato al proprio benessere materiale e giudice supremo di questi “poveri diavoli” che trascorrono la vita associati solo dalla paura di morire ma non da quella di vivere soli, senza l’amore di alcuno. 

Indispensabile dire che l’opera è resa, di così ottima fattura, dalle capacità di Claudio Di Palma ad indossare magistralmente i panni del protagonista. Buono risulta il livello della compagnia nel suo insieme, i cui componenti partecipano all’unisono, aggiungendo le giuste tonalità alla composizione. Unica pecca la durata. Due ore e mezza, comprensivi di due intervalli tecnici, sono troppe; anche se ben spese.

Visto il 14-02-2014
al Galleria Toledo di Napoli (NA)