Non c'è due senza tre: ecco che fa la sua ricomparsa sul palcoscenico del Festival Verdi, dopo essere stato presentato nel 2004 e ripreso nel 2008, il bell'allestimento de Il corsaro, ideato dal compianto Lamberto Puggelli e, per questa occasione, fedelmente ripreso dalla di lui moglie Grazia Pulvirenti che ha potuto avvalersi dell'ottimo contributo di Marco Capuana, Vera Marzot, Andrea Borrelli, dedicatisi rispettivamente alle scene, ai costumi e alle luci.
Il sipario si leva su un manipolo di pirati che stanno sul ponte di una nave, i cui possenti alberi e le cui vele ricreeranno di lì a poco ben altri ambienti, harem, saloni, prigioni, tutti giocati sulle tonalità del nero, del bianco, del rosso, in una sequela di rapidi cambi scena che tengono sempre viva l'attenzione dello spettatore, sopperendo agli innegabili difetti di architettura narrativa che l'opera presenta. Nel perfetto stile di un romantico romanzo d'avventura, quale è quello della novella cui il melodramma verdiano si ispira, fanno la loro comparsa, a riempire via via gli ambienti suddetti, eunuchi, infelici odalische, tirannici pascià, abbigliati proprio come l'immaginario collettivo si aspetterebbe, ma senza mai cadere nella banalità. La cura del dettaglio, una certa atmosfera lieve sottesa anche alle scene romanticamente più turbolente, la varietà continua delle situazioni rendono questo allestimento davvero piacevole e ancora perfettamente attuale a distanza di un decennio.
Bruno Ribeiro è un focoso e istintivo Corrado, scenicamente più che credibile, vocalmente sonoro, dotato di un bel colore e di base solido in tutti i registri. Voce troppo leggera per il ruolo, invece, per quanto concerne la Medora di Jessica Nuccio che se la cava comunque portando a termine una prova discreta grazie a una generale attenzione per il fraseggio e soprattutto alla innata duttilità dello strumento. Ivan Inverardi è un Seid dall’emissione forse non troppo curata e raffinata, sostanzialmente un po’ monocorde, ma indiscutibilmente pieno di forza: ne esce la figura di un pascià sprezzante e protervo, scenicamente imponente. Molto buona la Gulnara di Silvia Dalla Benetta, la voce è ricca di colori, l’acuto squilla e, di contro, anche i gravi appaiono solidi, la figura tratteggiata è quella di una donna volitiva e ricca di temperamento. Con loro Matteo Mezzaro (Selimo), Luciano Leoni (Giovanni), Seung Hwa Paek (un eunuco, uno schiavo).
Direzione poco più che corretta per Francesco Ivan Ciampa che ci è parso trascurare la ricerca di particolari accenti e colori della partitura, accontentandosi di perseguire un buon controllo del palcoscenico, indulgendo talora in qualche pesantezza di troppo. Più che discreta la prova del Coro del Teatro Regio preparato dal maestro Martino Faggiani.