Lirica
IL CORSARO

UN CORSARO CONTEMPORANEO

UN CORSARO CONTEMPORANEO

Il decennio circa che va dalla consegna al pubblico milanese del "Nabucco" alla prima veneziana di "Rigoletto", vide il giovane Verdi occupato ad affacciarsi sulle principali piazze operistiche, con la combattività di un conquistatore che va occupando un territorio ambito, e farsene padrone una volta per tutte. Ora o mai più, avrà pensato. Si trovava tra i trenta e i quarant'anni, la medesima età nella quale Donizetti, nel decennio precedente, s'era definitivamente affermato come operista di vaglia, e doveva quindi assolutamente a sua volta farsi un nome. Fu un periodo di furiosa attività - i famosi "anni di galera" - nel quale oltre che a Milano Verdi presentava man mano prime assolute delle sue opere a Venezia, Roma, Napoli, Firenze, persino a Londra e Parigi. Senza ovviamente trascurare, per quanto possibile, di promuovere i propri lavori anche in certe sale meno quotate, ma pur sempre importanti. Anche Trieste, città asburgica ai margini orientali di un'Italia ancora tutta da riunificare, entrava ad un certo momento nel suo campo d'azione. Al Teatro Grande - l'attuale Teatro Verdi - eccolo consegnare infatti ben due titoli nuovi di zecca: il 25 ottobre 1848 andava in scena "Il corsaro", e circa due anni dopo, il 16 novembre 1850 lo "Stiffelio", opera oggi meritevole di un'opportuna rivalutazione. Senza dimenticare che qualche tempo prima, la sera di S. Stefano del 1847, qui s'era tenuta la prima italiana - privilegio condiviso con Verona e Bergamo - de "I masnadieri", il melodramma da lui creato cinque mesi prima in quel di Londra.
Un salto nel tempo, e veniamo ai tempi nostri. In occasione delle celebrazioni del centenario della morte del Cigno di Busseto, undici anni fa, la fondazione triestina produsse lo "Stiffelio" in una bella edizione diretta da Nicola Luisotti, con Mario Malagnini e Dimitra Theodossiou. Ora è dunque giusto che, per legge di contrappasso, in questo nuovo anno verdiano sul palcoscenico del Verdi appaia come titolo d'apertura della stagione 2013 proprio l'altro titolo 'triestino', cioè "Il corsaro" in un nuovissimo allestimento scenico.
Musicalmente è stata un edizione di considerevole livello, partendo dalla guida più che lodevole di Gianluigi Gelmetti: la sua concertazione prende subito l'aire con un impeto gagliardo e lo mantiene sino alla fine, manifestando con una lucente lettura l'innata capacità di narratore, e di acuto disegnatore di belle architetture musicali. Ed una marcatissima impronta teatrale è quello che ci vuole, di fronte ad una partitura che capolavoro non è di certo, ma che pure si presenta non povera di colori e musicalità, pregi che risaltano solo se li si va a cercare. Una partitura che ha tra l'altro il buon merito di contenere una delle più belle gemme del Verdi giovanile, la romanza sopranile di Medora «Non so le tetre immagini»; nonchè un terzetto finale travolgente, forse il migliore tra quanti da lui concepiti in quegli anni di accanito impegno. E che possiede pure qualche altro momento molto interessante, come l'eterea aria di Corrado «Tutto parea sorridere», quella di Gulnara «Vola talor dal carcere», e all'atto III l'irruente intervento baritonale di Seid «Cento leggiadre vergini…S'avvicina il tuo momento",  dal testo banaluccio ma con due melodie ruffiane.
Data la rarità con cui "Il corsaro" appare sulle scene, praticamente tutti debuttavano nei rispettivi ruoli. Romano al par di Gelmetti è il giovane Luciano Ganci, già sentito Trieste ne "L'amico Fritz" dell'anno passato: è un tenore che sta conquistandosi un posto al sole, e abbastanza meritatamente direi. La voce porta con sé un timbro luminoso, si mostra morbida e duttile ma allo stesso tempo corposa e potente, con una emissione tecnicamente abbastanza ben sorvegliata; c'è un margine di miglioramento, ma si intravede l'autorevolezza dell'interprete importante. Il suo Corrado è squillante dove bisogna, ma senza clamore; bellamente dolente nel non facile passo di «Or più di me sei misera» che chiude il duetto con Gulnara, riesce struggente nel bellissimo finale a tre. La parte di Gulnara, con la sua scrittura di sapore belliniano toccava alla brava Paoletta Marrocu, la quale ha delineato molto bene e con tenera immediatezza l'andamento leggero e incantato, ricco di eterei vocalizzi che Verdi ha pensato per questo bel ruolo. Il giovanissimo soprano romeno Mihaela Mareu impersonava la sventurata Medora, facendosi forte di un centro ragguardevole, ricco di colore, e d'una bellezza non comune della voce. Il personaggio scaturiva potente, nell'aria di entrata come nella drammatica conclusione, ma nondimeno è ancora da rifinire il lato stilistico, e da costruire quella esperienza interpretativa che serve a rifinire a dovere un qualsivoglia personaggio verdiano. Ben convincente m'è parso il Said di Alberto Gazale: il quale non è più un fulmine di guerra come un tempo, ma pure sa essere pur sempre persuasivo e ricco di accenti veementi in un personaggio unidirezionale nel carattere - un cattivo a tutto campo, senza riscatto, senza ripensamenti -  ma vocalmente ben scolpito da Verdi. Abbastanza bene Michail Ryssov come Giovanni, benissimo Romina Boscolo nei panni esotici dell'Eunuco.
Gelmetti non s'è accontentato di concertare e dirigere questo "Corsaro", ma ha voluto realizzarne pure la regia e il progetto luci, affidandosi per le scene a Pier Paolo Bisleri e per i costumi a Giuseppe Palella. Lo spettacolo mi è sembrato complessivamente riuscito, a partire dal funzionale impianto scenico di Bisleri che prevedeva poche cose in scena - addirittura solo grandi cuscini per l'harem, oppure solo  una bianca sedia per il carcere - puntando molto su evocative video proiezioni che, per rendere ambienti ed atmosfere sfruttavano alcune tele, tra l'esotico e l'onirico, di Franco Fortunato; bellissimi dipinti che il pubblico poteva pure ammirare esposti nel foyer del teatro. Particolarmente fascinosi si presentavano i costumi di Palella, con una grandissima fantasia nel disegno e nella scelta dei colori. Molto eleganti in particolare quelli fatti indossare alle protagoniste femminili. Sinceramente, una vera festa per gli occhi dello spettatore.
Qualche inevitabile perplessità sorge invece per le soluzioni registiche di Gelmetti. Non si discute un lavoro evidentemente accuratissimo, da vero maestro del palcoscenico, che non trascura di rendere viva ogni scena; ma se talune invenzioni appaiono molto interessanti e coinvolgenti (come tutta la scena del Finale, strutturata con Medora morente con uno stiletto fitto in petto, o l'arroventato dialogo tra Gulnara e Seid; oppure come la scena della prigione, nella quale Gulnara nasconde gli occhi di Corrado, mentre un'apertura sullo sfondo svela una fanciulla nuda che pugnala Seid), in altri momenti le trovate di Gelmetti mi parevano un pochino sopra le righe. Tale ad esempio la scena dell'harem, che mostra le incessanti, plateali tenerezze saffiche tra Gulnara ed una schiava biancovestita, mentre intorno fanciulle e giovinetti seminudi si palpeggiano senza ritegno; e lo fanno sino a quando l'Eunuco - una Romina Boscolo vestita da 'drag queen' - li separa e spinge fuori scena. Oppure quando Seid ti viene consegnato come un bruto dotato di artigli, così ferocemente bestiale nella sua invettiva di vendetta da porre in testa a Corrado una corona di spine, neanche fosse lo stesso Gesù. Poco comprensibile - al di là di evidente polemica contro certo integralismo islamico - quando ad un passo dal calar di sipario alcune donne si spogliano dai neri chador, rivelando sotto delle moderne teenagers in t-shirts e calzoncini, picchiate e poi crudelmente lapidate da alcune guardie che si comportano come talebani. Sovrapposizioni inutili insomma per un'opera dal soggetto lineare e tutto sommato di ben scarsa problematicità come "Il corsaro", e che finiscono per indebolire uno spettacolo altrove persuasivo.

Visto il
al Verdi di Trieste (TS)