Lirica
IL CREPUSCOLO DEGLI DEI

Firenze, teatro Comunale, “Gö…

Firenze, teatro Comunale, “Gö…
Firenze, teatro Comunale, “Götterdämmerung” di Richard Wagner LASCIATE ESISTERE SOLO L'AMORE La Fura del Baus chiude il cerchio, o meglio, l'Anello del Nibelungo, con questo atteso Crepuscolo degli dei che ha debuttato al Comunale per il Maggio Fiorentino 2009 e che poi sarà ripreso al Palau de les Arts Reina Sofia di Valencia. Al centro dello studio del gruppo catalano è sempre la componente visiva, le immagini ad altissima definizione proiettate sugli schermi e le macchine che fanno alzare e volare i cantanti. Si rivedono le cose già viste nelle precedenti giornate e viene meno l'effetto meraviglia: le immagini sono le stesse, stessa la tecnica. Ma tutto avvince anche lo spettatore assuefatto dai precedenti capitoli nel raccontare per immagini, nello stupire con la tecnologia, nel chiudere l'Anello-cerchio (in tedesco, come in inglese, “ring” significa anello ma anche cerchio). Infatti gli aspetti psicologici del libretto sono travolti dalla furia e dalla potenza espressiva delle immagini, ma il messaggio è chiaro e coerente con il pensiero di Wagner: la condanna al potere del denaro, l'umanità abbandonata dagli dei e brancolante nel buio creato dall'assenza di valori, dall'inquinamento, dalle bugie, dalle promesse mancate, da cui ci si può salvare soltanto con l'amore. La cifra stilistica espressiva è quella del gruppo catalano: Carlus Padrissa regia, Franc Aleu, immagini video, Roland Olbeter scene, Chu Uroz costumi, Peter van Praet luci. Si comincia con le Norne (Passato, Presente e Futuro) avviluppate in fili, lacci, corde, veri e proiettati su schermi e velatino in boccascena; le Norne sono sospese a mezz'aria, dondolanti, oscillanti in abiti enormi e rigidi come i Cardinali di Giacomo Manzù, fin quando non si spezza il filo. La reggia dei Gibicunghi è un luogo in cui in primo piano vengono posti i soldi ed il potere economico, a cominciare dagli abiti, abbelliti da simboli monetari e bottoni tintinnanti come campanelli. I Gibicunghi sono l'emblema di questa epoca di crisi del capitalismo: Siegfried arriva con le trecce rasta e vestito di pelli di animale in un luogo tecnologico e di costruzioni futuribili e se ne sente attratto, divenendone vittima. Gunther sente il cattivo odore di Siegfried e lo fa lavare in una doccia, trasformandolo in un borghese dall'abito grigio, la camicia bianca, la cravatta, i capelli resi lucidi e ordinati dal gel. Prima del suo arrivo i mercati azionari erano in crisi ed il rosso dominava sugli schermi; la “novità” Siegfried dà una spinta alla dinamicità dei mercati ed è il verde a prevalere. Ma la morte dell'eroe fa riprecipitare tutto nella crisi. Il funerale di Siegfried è un lungo corteo silenzioso con il feretro caricato sulle spalle avvolto in una bandiera con su scritto “Sigfrido siamo tutti noi” in varie lingue; i trasportanti hanno il passamontagna nero e sono vestiti di verde; il corteo, ripreso da telecamere e proiettato sul sipario chiuso con immagini mosse e in bianco e nero, sembra un fatto di cronaca, un funerale di Hamas. I Fureri spingono sulla tinta politica ed ecologista. La capitale dei Gibicunghi è una “metropolis” che galleggia su un fiume talmente inquinato, soffocato dai rifiuti che l'acqua non si vede più, solo bottiglie di plastica galleggiano e si avviano verso il mare. Una novità è la zattera di Siegfried, che su muove oscillante su una marea di bottiglie di plastica mosse dai mimi come alberi al vento. Quando Brünnhilde riporta l'oro al Reno le Ondine sono felici e fanno le loro acrobazie nelle vasche di vetro piene d'acqua, felici di avere recuperato l'oro, felici che nel mondo si sia recuperato l'ordine naturale, prima stravolto dal comportamento dell'uomo assetato di potere e di soldi. Ma ciò non salva dalla distruzione. Centrale è il discorso sull'uomo, sugli errori umani di Siegfried e Brünnhilde, tanto che quando Siegfried racconta a Brünnhilde le sue menzogne si trova appeso a testa in giù sotto la zattera. E il mondo si capovolge per Brünnhilde: gli schermi si girano, mostrando cavi e tralicci. Siegfried, dopo aver bevuto il filtro, diventa un robot telecomandato nelle mani di Hagen e si muove accompagnato dal segno di un bersaglio come nelle moderne armi. Commovente l'incontro umanissimo tra Waltraute e Brünnhilde, la quale accetta la fine di tutto per mantenere una promessa d'amore. Nel finale il Walhalla è realizzato con una torre-rete di persone, che al momento della caduta si apre, i corpi si staccano gli uni dagli altri, hanno sussulti, tremori come percorsi dalla corrente elettrica e poi rimangono immobili nell'aria, appesi ai fili. Il Walhalla arde nel fuoco, bruciando gli dei, mentre Brünnhilde rivendica la centralità della figura umana e la capacità di amare. Mentre il fuoco arde bruciando il Walhalla, sullo schermo compaiono le parole, scritte col fuoco, che Wagner scrisse per il Ring nel 1848, poi non utilizzate: Se passò come un soffio la stirpe degli dei, se torno a lasciare il mondo senza signore, al mondo mostro ora il tesoro del mio più sacro sapere. Non valori, non ori, neppure la magnificenza degli dei; né casa, né corte né l'altero splendore; né il falso legame né i torbidi patti, neppure la dura legge di ipocrite abitudini, fortunati della gioia e nel dolore, lasciate esistere solo l'amore. Zubin Mehta dirige l'ottima orchestra del Maggio con mano sicura, assecondando alla perfezione l'allestimento ed ottenendo una grande espressività su tinte intime, senza titanismo né eroicità e questo rende il suono meno trascinante. Bene il cast. Su tutti l'ottimo Hagen di Hans Peter König, dalla voce morbidissima e lucente, pulita ed espressiva. Ottimi anche la Brünnhilde dalla possente voce luminosa di Jennifer Wilson, che arriva fino al temibile finale senza problemi, e il Siegfried di Lance Ryan, sicuro anche nella prova a testa in giù, appeso per i piedi. Si conferma Catherine Wyn-Rogers (qui Waltraute, sorella della Valchiria), come anche Franz-Josef Kapellmann (Alberich). Stefan Roll è Gunther; convince meno vocalmente la sorella Gutrune di Bernadette Flaitz, che vive in una sfera iperbarica per mantenersi giovane, come l'abbigliamento e le lunghe gambe fanno credere, ma la cui acconciatura antiquata tradisce la vera età. Con loro Daniela Denschlag (erste Norn), Pilar Vàsquez (zweite Norn), Eugenia Bethencourt (dritte Norn), Silvia Vàsquez (Woglinde), Ann-Katrin Naidu (Wellgunde), Marina Prudenskaya (Flosshilde), Nicolò Ayroldi (ein Mann) e Fabio Bertella (ein anderer Mann). Coro preparato al meglio da Piero Monti. Uno stuolo di comparse, atleti, grueri, tutti operai di uno spettacolo complicato da mettere in scena, ma che scorre come un perfetto meccanismo. Teatro tutto esaurito, molti giovani, tifo da stadio durante la recita e soprattutto al fine, dopo ben sei ore. All'esterno una garbata ed incisiva protesta contro i tagli ai finanziamenti, musicisti senza strumenti fotografati nel gesto di suonarli; all'interno il plastico del nuovo, erigendo teatro. Visto a Firenze, teatro Comunale, il 09 maggio 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)