Prosa
IL DIO DELLA CARNEFICINA

Su una pedana circolare incli…

Su una pedana circolare incli…
Su una pedana circolare inclinata al centro del palcoscenico, emergono un tavolino e due divani rossi, sui quali troneggiano due coppie di coniugi, i padroni di casa Veronique (Anna Bonaiuto) e Michel (Silvio Orlando), e i due ospiti Annette (Manuela Cescon) e Alain (Alessio Boni). La trama del “Dio della carneficina” di Yasmina Reza è semplice. Due bambini litigano in un parchetto di Parigi, Bruno offende Ferdinand e non lo ammette a fare parte della sua banda di ragazzini, Ferdinand si vendica rompendo con una canna di bambù labbro e due denti al rivale. I genitori dei piccoli si ritrovano a casa della presunta vittima, Bruno, per cercare di arrivare a un accordo conciliante e a una riappacificazione. Nel veloce scambio di battute tra i quattro protagonisti, nel loro dialogo abbastanza serrato, i rapporti passeranno da un iniziale fastidiosa finzione di civiltà, fino all’insulto fisico e verbale, toccando momenti esilaranti soprattutto grazie alla presenza scenica e alla comicità dei quattro interpreti. I quattro personaggi presentano le caratteristiche di altrettanti stereotipi contemporanei: l’idealista moralista benpensante Veronique, tutta presa dalla sua smania educativa e pedagogica, dalle sue battaglie per la salvezza del mondo e dei suoi abitanti, dall’Africa delle guerre fratricide alle liti tra i ragazzi del quartiere; l’ormai disilluso e disincantato Michel che, rinchiuso dietro la sua maschera di marito devoto e padre amorevole, tollerante uomo di sinistra e paziente filosofo, in realtà odia il matrimonio, le rinunce cui lo costringono i figli, il criceto prediletto della figlia; il cinico avvocato-squalo Alain, cellulardipendente, sempre occupato in telefonate con assistenti, collaboratori e clienti, nella spasmodica ricerca di un escamotage per vincere le cause più disperate; l’isterica insoddisfatta Annette, che si finge moglie perfetta e madre modello, ma è solo una delle tante desperate housewife sposate a mariti troppo presi da se stessi e dal proprio lavoro per accorgersi di loro. Seppur ben delineati, i quattro personaggi cadono spesso nel cliché dello stereotipo sul quale sono costruiti, arrivando a compiere gesti a tratti inspiegabili e forse esagerati nell’economia della messinscena, come le nausee e il conato di vomito di Annette, degno della migliore Linda Blair de “L’esorcista”, l’uso a volte grottesco del phon per asciugare i preziosi volumi d’arte sul tavolino, il cellulare gettato nel vaso di fiori, i tulipani scagliati per la stanza da un’Annette ormai fuori controllo. Episodi che strappano l’applauso e il facile riso del pubblico, grazie alla propria liberatoria irragionevolezza, ma che non sono motivati né dal dialogo, né dalla situazione. Benché i quattro protagonisti diventino sempre più simpatici agli spettatori con il procedere della piéce, alcuni loro atteggiamenti sembrano volti maggiormente a fare presa sul pubblico piuttosto che ad approfondirne la psicologia. “Il dio della carneficina” non possiede la misteriosa profondità evocata dal titolo, né il ‘furibondo humour sarcastico’ o la capacità di essere un ‘piccolo trattato morale di teoria della cultura’ promessi dal regista Roberto Andò. È una commedia nera, grottesca ma divertente, che, grazie alla vivace interpretazione della Cescon e di Boni, all’impeccabile Bonaiuto, ma soprattutto grazie alla spontaneità disarmante di Silvio Orlando, riesce a coinvolgere gli spettatori e a indurli all’applauso a scena aperta. Bergamo, Teatro Donizetti, 20 gennaio 2009
Visto il
al Traiano Comunale di Civitavecchia (RM)