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IL DISCORSO DEL RE

IL RE BALBUZIENTE

IL RE BALBUZIENTE

A Luca Barbareschi va riconosciuto il merito di aver portato in Italia testi teatrali interessanti dal mondo anglosassone a partire dagli anni Ottanta del Novecento, continuando fino ad oggi con questo Discorso del re, il cui film, sceneggiato dallo stesso autore della commedia, ha vinto meritatamente lo scorso anno quattro premi Oscar in categorie principali.

Al centro del plot re Giorgio VI, padre dell'attuale regina Elisabetta, secondo il linea di successione e tranquillo nella vita familiare con la moglie e le figlie a causa della grave balbuzie. Ma la morte del padre (si riferisce qui si sia trattato di eutanasia) e la relazione del fratello con la divorziata americana Wallis Simpson con la conseguente abdicazione di Edoardo VIII portano Albert sul trono nel momento in cui l'Inghilterra dichiara guerra alla Germania. Diventa necessario fare convincenti discorsi radiofonici ai sudditi sparsi nel vasto impero coloniale; Albert, su consiglio della moglie, si sta facendo seguire da un logopedista australiano, Lionel: un rapporto professionale che presto sfocia nel personale, creando un'amicizia i cui frutti saranno evidenti nei progressi di Albert-Giorgio VI, il cui “discorso” sarà impeccabile. Come il “riconoscimento” delle vessazioni a cui è stato sottoposto da bambino, di cui la balbuzie è evidente risultato.

Il lavoro teatrale inizia con Lionel che legge una lettera del re e ricorda in flash back gli inizi della loro conoscenza, poi si sviluppa in scene rapide e sintetiche che ripercorrono i momenti salienti della storia e del film, rispetto al quale appare meno in primo piano il rapporto tra i due protagonisti: un solo vero “incontro-scontro”, caratterizzato dai fumi dell'alcol.
Le scene di Massimiliano Nocente giocano con pannelli scorrevoli per le diverse ambientazioni che però risultano troppo uguali: la casa del logopedista, la casa del duca di York (futuro re) e Backingham palace sono tutte ambienti vuoti con panche di legno nere e una radio sempre accesa. Esatti i costumi di Andrea Viotti per calare i fatti nel periodo storico, gli anni Trenta del Novecento. Giuste le luci di Iuraj Saleri e le musiche originali di Marco Zurzolo, ma l'ouverture delle Nozze di Figaro che nel film risuona nella scena delle cuffie pare più pregnante. Utili le proiezioni dei filmati d'epoca, dai funerali di Giorgio V all'incoronazione di Giorgio VI, dai proclami di Hitler ai discorsi di Stalin.

Nel ruolo del re Filippo Dini fornisce una importante prova d'attore nella gestualità, nelle movenze e soprattutto nello speech con la balbuzie insistente o addirittura menomante. Esplora meno le corde del logopedista Luca Barbareschi, anche regista dello spettacolo, che talvolta cerca un facile consenso dalla platea. Gli attori dimostrano tutti rabbia e frustrazione piuttosto che nobile distacco e british aplomb ma risultano per la maggior parte credibili: Astrid Meloni (Elisabetta, moglie di Giorgio VI), Chiara Claudi (Wallis Simpson e moglie di Lionel), Roberto Mantovani (Giorgio V), Mauro Santopietro (Edoardo VIII), Ruggero Cara (Churchill - ma perchè tutti lo chiamano per nome, Winston?), Giancarlo Previati (vescovo).

Alcuni snodi sono apparsi troppo veloci e sintetici, per cui si arriva al discorso finale con poche “prove” e molte situazioni di contorno. Ma il lungo spettacolo scorre via piacevolmente, appassionando gli spettatori che tributano generosi applausi in particolare ai due protagonisti.

Visto il
al Salieri di Legnago (VR)