Lirica
IL FLAUTO MAGICO (DIE ZAUBERFLöTE)

La regina degli abissi

La regina degli abissi

ll flauto magico si presenta fin dall’inizio come un’opera complessa di cui è possibile dare molteplici letture. Ci vengono presentate, anche con il palese intento di stupire lo spettatore, vicende che oscillano costantemente fra il comico e il tragico, all’interno di un racconto intriso di componenti fantastiche, ambientato sì in un Egitto immaginario ma, nella realtà, svincolato da qualsiasi elemento di tipo spazio-temporale, così da divenire paradigma universale. Musica e intreccio si accordano alla perfezione e accompagnano gradualmente i personaggi nel loro cammino di iniziazione che punta al superamento di quella che è la mera sfera dei sensi per tendere alla conquista finale del bene e dell’amore, realtà che non vengono concesse all’uomo perciò, se non dopo un percorso di lotta e di fatica.

Nel nuovo allestimento proposto quest’anno dal Filarmonico di Verona il regista Mariano Furlani, messi in secondo piano tutti i simbolismi illuministici, gli ideali massonici e gli elementi giusnaturalistici, vuole porre l’accento sull'aspetto favolistico della vicenda, scevro da ogni intellettualismo, che consenta a ognuno di dare una lettura personale dei fatti narrati senza sovrastrutture obbligate.

Le frequenti proiezioni che appaiono sul fondo poco hanno a che fare con la vicenda, essendo tutte essenzialmente a tematica naturalistica: si susseguono serie di strane concrezioni simili a coralli, muschi o licheni in divenire, gocce di rugiada, gemme che sbocciano e, non da ultimo, un teschio ancora munito di cuoio capelluto. Pochi gli elementi scenici, discendenti per lo più dall’alto come gabbie e pannelli atti a ricordare porte o ingressi; solo una scalinata posta sul fondo, dalle fattezze vagamente riferibili a quelle di certe architetture di troni che fungono da fondali ai dipinti tardogotici, domina gran parte del secondo atto, durante il quale essa ospita le riunioni di Sarastro coi sacerdoti e funge da accesso alle prove per i due giovani. I tre geni di bianco vestiti fanno la loro comparsa su una piattaforma mobile che fuoriesce dalla parete sul lato sinistro, la Regina della notte, invece, canta la sua prima aria sulla cima di una specie di piramide che ricorda un ampio vestito e che la rende altissima, slanciata, quasi esulasse davvero dal mondo umano, mentre sul fondo vengono proiettate immagini che rimandano ad un mondo sottomarino in bianco e nero.

Leonardo Cortellazzi è un Tamino spigliato, dalla voce carezzevole e ricca di armonici, sicuro sulla scena e nell’intonazione. Voce limpida e pulita per la Pamina di Ekaterina Bakanova, perfettamente nel ruolo per accento, colore e voluminosità dello strumento. Scenicamente molto garbato e contenuto il Papageno di Christian Senn che punta forse sul rappresentare maggiormente il lato gentile dell’animo dell’uccellatore, piuttosto che incentrare la propria attenzione solo sulla macchiettistica simpatia del personaggio: la linea di canto è elegante, curato il fraseggio. Molto buono il Sarastro di Insung Sim, solido nelle note gravi, solenne e autorevole come si conviene al ruolo. Daniela Cappiello interpreta una Astrifiammante priva di quella allure crudele che dovrebbe caratterizzare la figura della Regina della Notte e che evidenzia non poche difficoltà nella gestione dei fiati e nell’intonazione, soprattutto nel registro sovracuto. Simpatica e frizzante la Papagena di Lavinia Bini, più che corretto il Monostrato di Marcello Nardis. Al loro fianco particolarmente pregevoli le tre dame di Francesca Sassu, Alessia Nadin ed Elena Serra e i tre fanciulli di Federico Fiorio, Stella Capelli e Maria Gioia.

Misurata e attenta alla ricerca delle giuste dinamiche, nonostante qualche leggera e perdonabile scollatura col palcoscenico, la direzione di Philipp von Steinaecker: decisamente apprezzabile la volontà di imprimere una solennità a tratti ieratica alla partitura, senza però trascurare gli elementi di freschezza e vivacità cui egli sa imprimere una particolare emotività. Buona la prova del Coro dell’Arena di Verona.

Visto il
al Filarmonico di Verona (VR)