Uno dei grandi meriti della messinscena di “Il fu Mattia Pascal” - versione teatrale di Tato Russo dal romanzo di Luigi Pirandello, regia dello stesso - è l’omogeneità e insieme l’equilibrio della scrittura drammaturgica, unita alla forza della spettacolarizzazione, che Tato Russo ha operato con decisa perizia e bravura. Trasformare un romanzo in un’opera teatrale, è spesso fatica improba, ma nel caso dello spettacolo in questione bisogna ascrivere a Tato Russo la perfetta dimestichezza e fascinazione con il teatro in senso lato e la scrittura teatrale, pertanto la trasformazione di cui sopra è perfettamente riuscita.
La complessità di “Il fu Mattia Pascal” - primo grande successo letterario del drammaturgo di Girgenti, scritto nel 1904, in un periodo molto difficile della sua esistenza, pubblicato dapprima a puntate sulla rivista “Nuova Antologia” - risiede proprio nelle intenzioni di Pirandello, oltre che nella trama, poiché nel romanzo vengono in luce le basi della sua poetica futura, la visione in qualche modo filosofico/pessimistica del mondo, della classe borghese in particolare con le sue piccole mediocrità, e soprattutto l’indagine sull’uomo moderno, sulle sue insicurezze e le crisi identitarie che saranno quasi il leit motiv di tutta la letteratura e la drammaturgia della prima metà del Novecento.
Mattia Pascal è un uomo che vive due volte: una prima identità, quella reale, la spende in una esistenza sacrificata per controverse ragioni economiche e accanto ad una donna che non ama ma che è stato costretto a sposare poiché da lui aspettava un figlio e, per contro, ha dovuto rinunciare a quella che ama, anche lei aspetta un figlio da lui. Una fuga dalla famiglia per disperazione e un paradossale equivoco (viene riconosciuto in una persona trovata morta) lo fanno vivere una seconda identità, quella di Adriano Meis. Cogliendo l’occasione di ricostruirsi una nuova esistenza e in seguito ad una forte vincita ai tavoli verdi di Montecarlo, Mattia Pascal, alias Adriano Meis, si stabilisce a Roma in una pensione dove ne seduce la figlia del proprietario, Adriana. Purtroppo il destino gli è contro e lui dovrà fingersi di nuovo morto ed abbandonare la donna che ama. Sconfitto ritorna al paese d’origine ma la moglie si è rifatta una vita con il suo più caro amico, sposandolo, e per lui non c’è proprio speranza: Mattia Pascal dovrà tornare alla condizione di morte e, ironia della sorte, anche portando anche i fiori sulla sua medesima tomba, così il microcosmo che gli gira intorno si ristabilirà e lui stesso, nella finzione della morte, troverà la sua ragion d’essere.
Come si nota una visione nichilistica, in cui c’è una alternanza tra l’idea della vita e della morte, in continua osmosi tra loro e nel contempo facce diverse di una stessa medaglia. Così come possono essere le verità: una, nessuna, centomila…
Scrive Tato Russo nelle note di regia: Ho immaginato un gran luogo dei ricordi, uno spazio vuoto di memoria, una perenne evocazione di fantasmi, un sorgere di anime vaganti che man mano prendevano i colori dei personaggi e degli interpreti. Per sottrazione brandelli di memoria sono stati portati via come frammenti di esistenza lontana. . E con mia sorpresa sono rimasto incantato da come la stessa impostazione scelta per il racconto drammatico svolgesse dall'interno delle sue ragioni la sua strada naturale. […] I fantasmi del racconto si sono incontrati certamente con i fantasmi del teatro e gli attori hanno incominciato a viaggiare con grande naturalezza tra personaggi e maschere. Infatti una delle grandi suggestioni dello spettacolo è proprio quella evocativa, la possibilità di trasformare l’assunto letterario in gesto e parola teatrale di ampio respiro pur con estremo rigore scenico. Importante l’idea degli incisi registrati in cui Mattia Pascal in prima persona, come nel romanzo, racconta, con voce fuori campo, i passaggi essenziali della storia. Indiscusso mattatore della scena nel ruolo di Mattia Pascal è Tato Russo che come un immaginifico burattinaio regge le fila della vicenda con una recitazione moderna, secca, che nulla concede, come si conviene nell’interpretare uno dei personaggi più intriganti della letteratura del Novecento.
Anche la sua regia, che si dispiega in sintonia perfetta con l’ambiente scabro con pochi elementi di scena (una panoramica nera che accoglie scrivanie, specchi, tavolini e poche altre suppellettili, coperti dapprima da drappi come una idea di case abbandonate che poco a poco si disvelano nelle varie fasi del racconto per poi scomparire) nelle belle scene di Tony Di Ronza, evoca un mondo di morti, di ricordi annegati nel tempo. Gli attori appaiono dapprima come dei fantasmi che risvegliati appunto dai ricordi (entrano in scena quasi di fianco nella penombra, come dal nero della mente, e arretrano infine inghiottiti dal passato) ricostruiscono la vicenda, seguendo insieme a Mattia Pascal il procedere del moderno flashback. Anche l’uso della maschera da parte della compagine attoriale) all’inizio e poi alla fine della rappresentazione, tende a sottolineare il gioco della finzione, dell’essere e dell’apparire, dell’uomo e del personaggio, il gioco del teatro nel teatro, summa della idea pirandelliana (penso ai Sei personaggi in cerca d’autore, a Questa sera si recita a soggetto, ecc.).
Belle e suggestive le musiche di Alessio Vlad, i costumi di Giusi Giustino, lo straordinario disegno luci di Roger La Fontaine. Bravi parimenti tutti gli attori: Francesco Acquaroli, Renato De Rienzo, Sarah Falanga, Giulio Fotia, Marina Lorenzi, Giuseppe Mastricinque, Adriana Ortolani, Antonio Rampino, Carmen Pommella, Francesco Ruotolo, Massimo Sorrentino. Uno spettacolo affascinante, coinvolgente con una cifra stilistica di grande attrattiva ed eleganza, nel solco di una idea di ottimo teatro. Molti applausi finali.
Prosa
IL FU MATTIA PASCAL
Fantasmi della memoria di Mattia Pascal
Visto il
16-03-2013
al
Comunale
di Teramo
(TE)