Prosa
IL FU MATTIA PASCAL

La fuga (senza ritorno) di Mattia Pascal

La fuga (senza ritorno) di Mattia Pascal

Grande attesa nella terra di Pirandello per questa rappresentazione teatrale del celeberrimo romanzo Il fu Mattia Pascal e di conseguenza il teatro comunale di Agrigento è affollato da amanti della prosa e da scolaresche interessate.
Scaduti i diritti d’autore, finalmente Tato Russo può realizzare il suo sogno nel cassetto: collocare sulla scena Mattia Pascal/Adriano Meis e tutti i protagonisti delle sue due vite. Quella del disilluso borghese fallito Mattia Pascal e quella del ‘rinato’ Adriano Meis, fortunato benestante in giro per il mondo alla ricerca della sua nuova esistenza.
Il lavoro di adattamento, dopo progressive elaborazioni, ha raggiunto una resa scenica ottima e non tradisce il romanzo nè il suo autore. Il pericolo di realizzare una rappresentazione statica e monovoce (come in effetti è nel romanzo narrato in prima persona) è stato scongiurato dall’artista napoletano che è ricorso alla voce narrante ‘autentica’ solo nei salti temporali. A Tato Russo è riuscito il difficile lavoro delle ‘scelte’ sceniche, indovinando i brani trasposti per la recitazione sia dal punto di vista di resa scenica che in quella più letteraria di comprensione narrativa e tematica.
La geniale scenografia ‘open space’ di Tony Di Ronza e il gioco di luci di Roger La Fontaine fanno nascere gli ambienti quasi dal nulla: gli oggetti simbolo delle ambientazioni compaiono sotto teli neri quasi per magia, i personaggi stessi sembrano ‘sbucare’ sulla scena come per sortilegio evocato dal protagonista. Le ottime performance degli attori Katia Terlizzi, Renato Di Rienzo, Francesco Acquaroli ma anche di Marina Lorenzi, Massimo Sorrentino e Carmen Pommella completano la riuscita trasformazione del teatro borghese pirandelliano in un’affascinante espressione di teatro moderno. La regia caratterizza le doppie e triple personificazioni degli interpreti marchiandole comunque con i simboli tragicomico e grottesco  propri di Luigi Pirandello.
Stessa cosa però non si può dire dell’interpretazione proprio di Tato Russo. Il suo Mattia Pascal si trascina identico dall’inizio alla fine dello spettacolo, invariato anche nella ‘trasformazione’ in Renato Meis (per scelta o perché è più difficile dirigere se stessi che gli altri?): il deluso, il sofferente, l’inappagato Mattia non muta nella nuova vita di Meis, non c’è la svolta, non c’è nemmeno la parabola che riporta l’avventuriero alle stesse insofferenze dell’inquieto defunto Pascal. Perché in fondo, anche in questo romanzo sceneggiato, ad essere rappresentata è l’eterna insoddisfazione personale, la voglia di riscatto, l’avvertito bisogno di ognuno dell’evasione liberatoria da una società convenzionale e rigida, quella società che ci obbliga ai nostri doveri e ci nega le nostre aspirazioni. Ma dopo la fuga, reale o immaginaria che sia, sappiamo che nessun vuoto resta tale a lungo: la società, ma è meglio dire la vita, ha la forma dell’acqua e riempie ogni assenza. E così quando ad Adriano Meis non basta più essere vivo, non basta più amare, non basta più contestare e sente il bisogno di convalidare i suoi sentimenti, la sua stessa vita, si rende conto che non è possibile, che lui non è alcuno: lo specchio simbolo che troneggia sulla scena non riflette più la sua immagine. Nasce quindi la sofferta decisione di far suicidare Adriano Meis e riprendere il posto del redivivo Mattia Pascal.
Con l’abbondante capitale vinto al gioco, sicuro di risalire nella scala sociale, rientra al suo paese ma… la forma dell’acqua ha già occupato il suo posto: nei due anni di assenza sua moglie si è risposata con il suo migliore amico ed ha anche una figlia. Non c’è chi lo riconosca né chi vuol credere ai fantasmi. E come un fantasma Pascal fa visita alla sua tomba e a chi gli chiede chi sia, risponde di essere il ‘fu’ Mattia Pascal: il ‘nessuno’ dei futuri soggetti di Luigi Pirandello.

Foto di scena di Diego Romeo
 

Visto il 17-02-2011
al Pirandello di Agrigento (AG)