Nutriamo un apprezzamento incondizionato verso lo scomparso Emanuele Luzzati. Scaturiti dalla matita di colui che a ragion veduta viene ritenuto un Maestro in ogni arte applicata, sono stati recentemente ritrovati alcuni bozzetti inediti inerenti Il furioso all'isola di San Domingo di Gaetano Donizetti, in prima esecuzione nella nuova edizione a cura della Fondazione "Donizetti" di Bergamo. Lo stile prediletto da Luzzati, splendidamente concretizzato dallo scenografo Michele Olcese, è noto, nondimeno carico di suggestioni capaci di rinnovarsi: quinte e soffitti invasi dalla rigogliosa vegetazione tropicale (all'Henri Rousseau) rigorosamente dipinti a mano come nella migliore tradizione teatrale. Il cielo, sfumato da righe pastello, si è incupito sopra il mare in burrasca, tra le cui onde di cartone (animazione Luigi Berio) sono apparse le scritte "soccorso" e "aiuto", come invocato dalla naufraga Eleonora. Una tecnica naïf vivace e coloratissima, che Francesco Esposito ha fatto propria per impostare "una regia fiabesca, non favolistica": la precisazione la dice lunga sulle sue sottigliezze interpretative. Se a questo trinomio, aggiungiamo l'altro "geniaccio" di Santuzza Calì (che assieme a Olcese ed Esposito formava lo staff prediletto da Luzzati) ideatrice di costumi che anch'essi sono parsi scaturiti dalle pagine di un romanzo esotico, allora si comprende a qual punto l'allestimento scenografico sia risultato la carta vincente di questa produzione.
Il tema è stato svolto dal regista mediante l'inserimento di elementi divertenti e spiritosi, che hanno spesso suscitato risa tra il pubblico: Kaidamà sottoposto a trasfusioni di sangue, in seguito bevuto avidamente dai lettighieri; la pioggia fuoriuscita da annaffiatoi calati dal cielo; le immagini dell'amata appese da Cardenio a liane per essere fatte oggetto di tiro al bersaglio con le freccette; il bucato steso ad asciugare al sole animatosi di visi apparsi tra le pieghe. Particolari che hanno conferito caratterialità sia al contesto che ai personaggi. Ancora, le tinozze sulla spiaggia, dentro le quali gli isolani hanno compiuto abluzioni e giocato a far bolle di sapone dopo essersi abbandonati a balletti in sincrono (coreografie Maria Cerveira) come è di moda per le canzonette da hit parade "tormentone" di ogni estate. Ad apertura di sipario, dal baule spinto sulla riva dai marosi, il medesimo usato dai commedianti per riporre gli accessori teatrali, sono fuoriusciti gli interpreti, per montare a vista questa storia. Esposito, utilizzando quell'ironia sottile e misurata che calza alla perfezione al "buffo" donizettiano, senza dimenticare il trasporto del cuore, che non a caso viene citato nella prima riga delle sue note di sala, ha instillato il dubbio che il furioso per amore del titolo non fosse in realtà più matto di ciascun altro; che ad essere tacciato di pazzia e relegato all'emarginazione dal consorzio umano fosse il diverso, colui che non si era integrato nelle regole della società: letteralmente una voce fuori dal coro. Il lieto fine, a seguito del riconoscimento degli errori, era assicurato, confermando che non potesse trattarsi di realtà ma di fantasia.
Il pregio maggiore sotto il punto di vista canoro, è stata la discreta alchimia instauratasi tra gli interpreti. Per meglio dire, quella che Giovanni Di Stefano ha saputo creare nella concertazione; per poi non averla supportata in toto dal podio direttoriale, per le lievi sbavature emerse tra buca e palco. Ha impresso all'Orchestra del Bergamo Musica Festival tempi snelli, dinamiche agili in un contesto coloristico uniforme ed una linea volumetrica compatta tra le sezioni strumentali, che in qualche pagina ha sovrastato le voci.
Federico Longhi possiede considerevole padronanza scenica e vocale. Grande misura nella gestualità ludica, saggiamente amministrata basandosi sul perfetto physique du role del succube servo Kaidamà, dal viso annerito solo al centro a ricordare che si trattava di personaggio immaginario; calibratura nell'emissione, timbrica gradevole, registri percorsi senza incertezze. Christian Senn denota buona dizione, fraseggio curato, stilisticamente ricercata la linea di canto, piacevolmente temperamentosa la tinta timbrica che declina con grazia e morbidezza. Peculiarità, quest'ultima, che gli ha permesso di incarnare con accenti intensi la pazzia amorosa del furioso Cardenio. Paola Cigna ha padroneggiato il ruolo più reale di Eleonora. Emotivamente partecipativa, voce minuta, fresca ed estremamente duttile, di grande musicalità, begli accenti, esperta nei filati in cui tralascia il carattere per guadagnare in espressività. Nella buona estensione, la solidità delle note alte perde di spessore nel registro medio. Giunta affaticata al finale, le perdoniamo una incertezza d'intonazione proprio nella chiusa. I mezzi vocali di Lu Yuan trovano singolarità nel timbro, assai chiaro e squillante. Ha sostenuto una prova, nei panni di Fernando, di precisione scolastica, non fosse per la pronuncia bisognosa di essere affinata; altrettanto dogmatica la tenuta lunghissima negli acuti che, a onor di cronaca, hanno riscosso consensi scroscianti. Leziosità nella recitazione, in questo contesto calzata a pennello; l'esperienza che deve ancora maturare, stante la giovane età, gli conferirà senz'altro la necessaria capacità di "lasciarsi andare", di abbandonarsi all'interpretazione. Leonardo Galeazzi era Bartolomeo; timbro brillante e pieno, emissione aggraziata, dizione intellegibilissima, sicura musicalità. Marianna Vinci, a proprio agio nelle vesti di Marcella, si cinge di un colore ambrato tanto limpido quanto consistente, che utilizza con correttezza tecnica. Partecipativo il Coro del Bergamo Musica Festival preparato da Fabio Tartari.
Nella replica pomeridiana, parterre e palchi con qualche posto vuoto, per quella che di fatto ha costituito una rarità, non più rappresentata nella Città dei Mille dal 1998. Al termine, gli interpreti girati verso il fondale si sono uniti agli applausi del pubblico per tributare un affettuoso ringraziamento a Lele Luzzati.