E’ stato presentato al Festival di Castiglioncello 2007, ed è piaciuto subito a critica e pubblico. Arriva a Milano sul palcoscenico del sempre attento teatro Litta il Gabbiano di Cechov nella versione di Martin Crimp per la regia di Sandro Mabellini.
Una proposta coraggiosa che cerca il vuoto della scena e della messa in scena, non per un vezzo formale o capriccio sperimentale, ma perché lo richiede il nostro tempo, e soprattutto lo richiede Martin Crimp che s’interroga sulla moltiplicazione dei piani di rappresentazione e sull'idea dell'amore, sul problema dell'altro.
Sulla scena ci sono solo drappi neri e due microfoni, tre coppie vagano danzando e fingono un dialogo di amore e repulsione. In realtà gli attori recitano con lo sguardo rivolto non alla controparte in scena, ma al pubblico che assume nello specifico la veste di confessore inconsapevole. La comunicazione tra attore-attore-spettatore è fondamentale. Un triangolo all’interno del quale si svolge la comunicazione fatta di parole e azioni che gli attori sono chiamati a 'cercare' ad ogni prova, ogni replica, in modo autonomo ed originario.
Il testo si ripete invariato per ogni replica, ma ciò che lo spettatore vedrà in scena ogni sera, è diverso in merito a ciò che accade. E proprio questa è la geniale intuizione. Si parla col vuoto, al vuoto, all’aria, ai microfoni accesi e a quelli spenti.
Impressiona la capacità interpretativa degli attori in scena. Che con una declinazione dell’Arte che parte dalla gestualità e coinvolge i muscoli, il corpo tutto, la voce, i silenzi, la mimica e le espressioni. Inotorno a loro l'amplificazione del vuoto, la ricerca dell'amore, lo spettatore.
Di Cechov resta poco o nulla, perché è così che l’ha immaginato Crimp, uno fra i più bravi drammaturghi britannici, nonché vincitore del Premio Ubu 2005 come Migliore novità straniera.
E si sperimenta, minuto dopo minuto. Una nuova forma di espressione teatrale. Da provare.
Milano, teatro Litta 22 aprile 2009