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IL GIARDINO DEI CILIEGI

Cechov a fumetti

Cechov a fumetti

La compagnia teatrale Comteatro della periferia milanese ha presentato al Teatro Leonardo di Milano “Il giardino dei ciliegi” più breve nella storia mondiale del teatro: un’ora e quindici minuti.


In più di un secolo di vita, “Il giardino dei ciliegi” è stato venduto , lottizzato e rimpianto tante di quelle volte che “vendere” o aggiungere qualcosa in più si presenta pressappoco impossibile. Ogni scena, replica e persino ogni parola sono stati rivissuti migliaia di volte, con tutte le sfumature e tutti i significati possibili. Ma, a quanto pare, il fardello delle svariate tradizioni teatrali legate all’interpretazione della celebre pièce non ha spaventato il regista Claudio Orlandini. Anzi, a quanto pare, egli ha voluto rapportarsi con Cechov con la massima spontaneità e naturalezza, come partisse “da zero”, lasciandosi alle spalle il peso delle esperienze accumulatesi nel corso del ventesimo secolo. Per farlo ci vuole un certo coraggio. Ma ne valse la pena?

Sin dal momento della sua stesura e della prima messa in scena nel lontano 1904, per tutti i registi “Il giardino dei ciliegi” si è sempre presentato come un pretesto per esprimersi sui più importanti quesiti sociali, psicologici o, semplicemente,e sulla vita quotidiana. Di regola, se il regista non aveva nulla da dire non si arrischiava di cimentarsi con il capolavoro cechoviano. Qualcuno si ricorda ancora i “giardini” di Strehler e di Brook, pieni di metafore e allusioni. Oppure la più recente visionaria messa in scena di Nekrosius nella quale il regista lituano ha “avuto da dire” per ben sei ore di fila (tal è la durata della rappresentazione). E poiché la versione molto alleggerita di Orlandini non solo non contiene alcuna metafora o allusione, ma, a dire il vero, non comunica proprio nulla, rimane poco chiaro quale compito egli si era prefissato. Probabilmente nessuno. Semplicemente lo stuzzicava l’idea di provare a mettere in scena Cechov per soddisfare le proprie ambizioni.

L’associazione più immediata che viene in mente sin dai primi quadri è quella con un fumetto nel quale il delicato disegno psicologico è sostituito con una banale vignetta. Mutilato di una buona parte delle scene e della metà dei personaggi, più che a una commedia come la intendeva Cechov, è sicuramente più vicino a un allegro vaudeville dove la cosa più importante è che gli avvenimenti si svolgano con rapidità, i caratteri dei personaggi – semplificati e appiattiti al massimo - si svelino subito, il tempo non slitti e lo spettatore non si annoi. Ranevkaja - uno dei personaggi femminili più conosciuti e ambiti nel teatro moderno – è una famme fatale con un sorriso stampato sulle labbra che canticchia in francese. Gajev – che per la prima volta nel 1904 è stato interpretato niente di meno che da Stanislavskij – è un babbeo in capotto col bavero di pelliccia “à la russe” e il cappello di feltro in testa (ricordiamo che il momento centrale dello spettacolo, cioè il giorno di vendita del giardino è il 20 agosto) che fa battutine fuori luogo e prende sotto braccio le nipotine per fare insieme quattro passi di danza. Lopachin (anche lui in capotto, per dare allo spettacolo un po’ di “russitudine”) è un volgare lestofante, privo di ogni sentimento di gratitudine verso i suoi ex padroni (al contrario di come lo voleva Cechov), che saltella felice pregustando un buon affare. Anja, una giovane di diciott’anni, chissà per quale motivo è vestita con un abitino stile Fata turchina e le culottes ricamate di pizzo che le arrivano al ginocchio. Una menzione particolare merita certamente Petja Trofimov, tutore del figlio perito di Ranevskaja. Oltre a essere sotto certi aspetti innovativa, la scena quando egli si denuda il petto villoso parlando con Anja-Lolita, potrebbe servire da spunto per rivedere tutta la storia dell’”accidentale annegamento” del povero piccolo Griša…

Sarebbe inutile rimproverare di qualche cosa gli attori . I loro personaggi sono sottoposti alle leggi di quel mondo, ovvero di quel "giardino" di rami secchi, creato dal regista e dallo scenografo i quali, rifiutando di attingere a tutta la ricca e preziosa esperienza storico-culturale accumulata nel corso del secolo passato, forse incoscientemente hanno portato lo spettacolo nella lontana periferia del teatro moderno che, fra l’altro, proprio con Cechov, all’epoca, vide i suoi natali.

 

Visto il 14-11-2012
al MTM - Leonardo di Milano (MI)