Milano, teatro alla Scala, “Il giocatore (Igrok')” di Sergej Prokof'ev
LE ANIME MORTE E LA FEBBRE DEL GIOCO
“Il giocatore” di Dostoevskij ha il valore di una requisitoria contro la borghesia europea e un sistema di accumulo del denaro basato, in parte, sul gioco d'azzardo. Narrato in prima persona dal protagonista Aleksej, il romanzo (in italiano nella esatta traduzione di Pacini per Garzanti) è innervato da un incalzante ritmo narrativo che segue l'incrinarsi del destino. La partitura di Prokof'ev esalta quel “gorgo implacabile e forsennato dove le linee melodiche sembrano dapprima implodere, gonfiate dall'interno ribollire armonico; e poi polverizzarsi sotto il maglio gigantesco di un'implacabile scansione ritmica, tanto da sembrare schegge impazzite lanciate per ogni dove: mentre invece seguono linee di ferrea logica teatrale procurata anche dal loro aderire come un guanto al velocissimo testo che lo stesso compositore trae dalla prosa di Dostoevskij, eliminandone le implicazioni filosofiche ma esaltandone al massimo la tesi di fondo” (Elvio Giudici).
La regia di Dmitri Tcherniakov trasuda disperata solitudine ed ambienta l'azione al giorno d'oggi nella hall di un hotel minimalista ed high-tech con vetrate, specchi e acciaio (suoi anche scene e costumi, mentre le luci perfette sono di Gleb Filshtinsky). All'ingresso del pubblico in sala il sipario è aperto e le comparse si muovono come in un film. Poi il sipario scende, le luci si abbassano, la musica fluisce, il sipario si solleva ed incomincia l'azione. La scenografia “a carrello” scivola lateralmente (con effetto da fotogramma cinematografico) e mostra ambienti vuoti con personaggi soli e svuotati da ogni impulso, un'umanità che vive di esteriorità e per la quale il denaro è la misura della vita e di tutte le cose, compresi i valori etici e comportamentali. Ne è calzante esempio il Generale, preoccupato di pettinarsi i capelli in modo da coprire l'incipiente calvizie oppure di nascondere i rotoli di adipe sotto una panciera. Oppure Polina, ritratta sola, seduta su un divano come una marionetta senza vita, in balia della vita e degli eventi.
Anime morte. Ma dominate dalla febbre del gioco. Il senso dell'onore, del patrimonio, della nobiltà decaduta hanno lasciato il posto a moderne nevrosi, descritte con implacabile lucidità. Le comparse personificano un'umanità estranea ed estraniata che assiste al progressivo, inarrestabile disfacimento morale e materiale dei protagonisti. Nella scena della roulette compaiono anche le slot-machines davanti a cui sono sedute signore dall'aria assente che ripetitivamente spingono sul bottone, come automi. Le anime morte e la febbre del gioco.
La lettura di Daniel Barenboim è perfetta ed emozionante e sottolinea i momenti più intensamente lirici e i momenti più marcatamente espressionisti, con una concertazione ricca e ruvida, dai suoni pieni e spessi che ben rende la divorante ansia che esplode nei personaggi. Complice un'orchestra che lo segue alla lettera e un cast ottimo.
Tutti i personaggi dimostrano un grande lavoro del regista sui caratteri e sui gesti (l'assenza del coro impone la massima caratterizzazione a ciascuno dei molti personaggi, soprattutto nella scena della roulette).
Misha Didyk ha voce e recitazione che meglio non si potrebbe e disegna un Aleksej al di sopra delle righe, sovreccitato, incapace di dominarsi e controllarsi; esasperato e contraddittorio, Aleksej è un giovani di oggi, anche nell'abbigliamento, scarpone da ginnastica e felpa col cappuccio.
Kristine Opolais è molto bella e la sua Polina è algida e distaccata, elegantissima, come uscita da un giornale di moda, più gelida che innamorata, arrabbiata con il mondo e per questo vittima di un difficile confronto comportamentale con tutti, tranne con la babuska, verso la quale ha un afflato affettivo tenerissimo.
Vladimir Ognovenko è il Generale ed ha voce morbida e sontuosa. Stefania Tocyska è la Nonna, credibile a cominciare dalla voce venata dall'usura del tempo che la rende orgogliosa, carismatica, a suo modo una “generalessa” che rende ancora più dolorosa la sua sconfitta al gioco. Stephan Rugamer è un viscido Marchese, Viktor Rud il cerimonioso inglese Astley, Silvia De La Muela una superficiale e bamboleggiante Blanche, Plamen Kumpikov un Potapych bodyguard con tanto di abito nero ed occhiali da sole. Adeguati gli altri, numerosissimi ruoli di contorno della scena della roulette.
Diversi posti vuoti in sala; pubblico rapito dallo spettacolo, soprattutto sul fronte musicale; applausi per tutti.
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 28 giugno 2008
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Teatro Alla Scala
di Milano
(MI)