IL GRAN BAZAR DE LE MILLE E UNA NOTTE

Sette veli e un milione di usignoli

Sette veli e un milione di usignoli

Potete legarmi mani e piedi
togliermi il quaderno e le sigarette
riempirmi la bocca di terra:
la poesia è sangue del mio cuore vivo
sale del mio pane, luce nei miei occhi.
Sarà scritta con le unghie, lo sguardo e il ferro,
la canterò nella cella della mia prigione,
al bagno,
nella stalla,
sotto la sferza,
tra i ceppi
nello spasimo delle catene.
Ho dentro di me un milione d'usignoli
per cantare la mia canzone di lotta.

(Marmoud Darwish)

Come i sette veli del mito di Ishtar, la dea scesa nell’aldilà a recuperare il compagno Tammuz, così si dispiegano, una ad una, davanti agli occhi del pubblico, le storie di questo “Gran Bazar delle mille e una notte”.

Liberamente concepito alla maniera di una festa, in cui si può giocare, ridere, scherzare insieme agli spettatori, senza troppi formalismi da “quarta parete”, “Il Gran Bazar” è uno spettacolo coinvolgente e riuscito, all’insegna della molteplicità, della diversità di toni, voci, colori, associati e accostati in modo inconsueto.

All’interno di una semplice cornice (il viaggio del turista europeo alla scoperta dell’Oriente), tutte le altre narrazioni, tragiche, farsesche o comiche, si incrociano e sovrappongono, all’unisono con i passi delle “carovane” di pubblico, suddiviso in gruppi per seguire le tappe di questa rappresentazione itinerante, in cui adattamenti dall’opera originaria de “Le mille e una notte” si alternano a libere interpretazioni di temi legati al mondo arabo.
Così vediamo andare in scena il paradosso della ricchezza offerta da un ciarlatano, la grande fortuna che dal nulla di fa e nel nulla si distrugge, nella gag pensata per Alessandro Bergallo, o, con toni diversi, il dramma della condizione palestinese, nell’episodio del libraio “prigioniero”, in cui colpisce un’intensa lettura del poeta arabo Marmoud Darwish (“potete legarmi mani e piedi”).

Ce n’è anche, ovviamente, per la condizione della donna, in una serie riuscita di dualismi e contrapposizioni: la prima, tra l’emancipata Guendalina e la coraggiosa Sharazade (le cui identità non a caso si confondono), la seconda, tra Sharazade stessa, che affronta il sultano con le arti della parola e dell’affabulazione e la bella sensale, che si affida a una sensualità più corporea e istintiva. Il risultato è quello di raffigurare, senza stereotipi o buonismi, un rapporto tra i sessi sempre vivo, dialettico, complicato, una sorta di “singolar tenzone” in cui la tregua è continuamente sospesa e rinviata: proprio come accade in un altro esilarante episodio della pièce, quello dell’ “uccellatore uccellato”, che, rinfacciando alla moglie la morte di uno sfortunato pappagallo, contende con lei sulle sorti della loro bellicosa vicenda di coppia.

Non c’è, in tutto questo, alcuna tregua neppure rispetto al destino da “Gran Bazar” di dover tutti sempre vendere qualcosa, nello stesso modo in cui l’attore, ogni giorno, “vende” se stesso al pubblico cercando di esser qualcun altro; eppure, il tono riesce a mantenersi non stucchevolmente malinconico, ma sempre sostenuto e vivace.
Di certo, contribuiscono il fascinoso impianto scenico, la felice ambientazione all’aperto, ma anche una serie di richiami e oggetti cari al pubblico della Tosse: i colorati burattini di Lele Luzzati, il buio dei locali della Claque, i volti noti della compagnia, da Alessandro Bergallo, a Pietro Fabbri, senza scordare un brillantissimo Campanati, nei panni del Gran Visir.

Fra tutti questi ingredienti c’è, in ogni caso, un’alchimia misteriosa, qualcosa che sfugge all’interpretazione complessiva e forse proprio in questo trova la sua bellezza; perché il Gran Bazar è, in fondo, una creatura multiforme e felice, in cui ogni comprensione è lasciata all’insegna dell’incertezza, come a suggerire che esistono sempre più spiragli, possibilità di lettura, che una storia di mondi lontani forse, da sola, non è facile da capire, ma sa liberare milioni di usignoli tra il grigio e l’azzurro della città d’estate.

Visto il 13-07-2013
al Della Tosse di Genova (GE)