Prosa
IL MACELLO DI GIOBBE

Il macello del bene e del male

Il macello del bene e del male

Il vitello d’oro, virtuale, della finanza , contro un’idea di economia che affonda le sue radici nella Bibbia.
Il macello di Giobbe, scritto e diretto da Fausto Paravidino, dopo una lunga gestazione a Roma nel Teatro Valle Occupato, affronta per la prima volta il pubblico nazionale a Genova. Sul palcoscenico della Tosse, che lo ha prodotto, tocca i nervi scoperti del mondo di oggi, ma anche eterne domande senza risposta sul Bene e sul Male, partendo da un confronto  generazionale . Nel negozio che Giobbe, anziano  commerciante, ha sempre gestito, pensando a una giusta ricompensa per una condotta onesta,  cominciano ad avvertirsi i sintomi della crisi. A risolverla viene chiamato il figlio, che ha studiato a Boston e che consegna la famiglia a un sistema bancario spregiudicato. Siamo in un alveo scavato da Lehman Brothers, ma percorso con stile molto diverso dalla saga di Massini-Ronconi. La partita si gioca su una scena spoglia, che Guido Bertorelli e Marco Guarrera rendono  realistica e simbolica al tempo stesso, grazie a pochi  elementi:  da un lato la carcassa incombente di un bue e la carne vera e sanguinante sul banco; dall’altro l’ufficio asettico di un banchiere che si copre il volto con una maschera di maiale, probabile allusione all’indebitamento dei “pig”. Su un doppio registro, giocando su una contrapposizione che è etica ed estetica al tempo stesso, si muovono anche gli attori: Filippo Dini, Giobbe,  con una recitazione sempre intensa e umanissima; la moglie Monica Samassa; la figlia Barbara Rochi; Fausto Paravidino che impersona il figlio come un ponte tra Vecchio e Nuovo Mondo, con alternanza ben calibrata di pochi rimorsi; e Iris Fusetti, la “tipa”, una Lady Macbeth pop, implacabile anche nelle scene di sesso;  i fools shakespeariani o, se si preferisce, clown beckettiani Aran Kian e Federico Brugnone.  Se nelle sue prove giovanili più famose, come il noir Natura morta in un fosso  o il già politico Noccioline, Paravidino diceva cose profonde, procedendo con un passo apparentemente minimalista, in questo spettacolo si va avanti per accumulo. La sua ambizione, dichiarata durante le prove ed evidente in scena, è quella di plasmare su un racconto contemporaneo diversi modi  della tradizione teatrale, e molti generi , compresa la danza,  su musiche  composte collettivamente e curate da Enrico Melozzi. Il risultato è un magma che, nel sacrosanto intento di spettacolarizzare considerazioni filosofiche e denuncia politico-sociale, alterna momenti folgoranti ad altri che si potrebbero tranquillamente tagliare. E’ un lavoro “in progress” come ha già dimostrato la prima alternanza tra Paravidino e Vito Saccinto, che aveva interpretato il figlio nell’anteprima di Bruxelles. Si ricompatterà durante il rodaggio.

Visto il 07-01-2016
al Della Tosse di Genova (GE)