Prosa
IL MALATO IMMAGINARIO

Temere la malattia è meglio che accettarla

Il malato immaginario
Il malato immaginario

Che cosa accusa il paziente? Nausea, non si direbbe. Problemi ai bronchi? Neppure quelli. Febbre? Non c’è. Ma verrà. Il giudizio di Argan a riguardo è perentorio. 
Lo sanno tutti però che il nostro “eroe” non è malato. È un malato immaginario appunto, come recita il titolo. O forse, è affetto da ben altri malanni. Molti, sbrigativamente, parlerebbero oggi di depressione, condita da manie di persecuzione e spiccata propensione al lamento. E, purtroppo per lui e per quanti gli stanno attorno, Argan è anche questo.

Tuttavia, approfondendo l’analisi, ci si accorge che la malattia vera e propria è un’altra e riguarda la paura. Paura di morire, ma anche di vivere… come se la prima non fosse di per se’ sufficiente a paralizzare un individuo nell’esercizio delle sue facoltà, mentali anzitutto. Sarà per questo che sembra di scorgere nel protagonista una sorta di auto-compiacimento nel piangersi addosso, oltre alla fiducia cieca e sconsiderata nei medici che lo curano. Che altro non sono - nella pièce perlomeno - furbi abbindolatori che lucrano sulle disgrazie del paziente fifone. Ma, per quanto codardo, Argan si lascia andare all’imbroglio perché, paradossalmente, si sente più al sicuro nel far parte della “comunità dei malati”: non gli interessa tanto la guarigione (ma da cosa poi?), quanto la possibilità di ingannare la morte e raggirare la malattia, quella di esistere. Vivere da sani, avendo la coscienza di esistere, è impossibile, sostiene Cesare Garboli, che più volte si è accostato alla produzione di Molière.

Nell’ultima versione proposta da Andrée Ruth Shammah - un omaggio a Franco Parenti a 25 anni dalla scomparsa - uno studio altrettanto approfondito si evince dalle sofisticate performance degli attori, a cominciare da Gioele Dix, dallo sguardo troppo vispo per essere credibile come malato petulante, ma che riesce a rendere bene il personaggio senza  strafare. Argan, del resto, non è un “battutaro”, piuttosto un bipolare e, come tale, risulta comico e drammatico al tempo stesso. Ad ogni modo, pur parlando di fragilità e disagi, desideri di fuga e perdita di fiducia, si ride spesso e di gusto, in molte scene e anche dopo, quando i personaggi escono per poi tornare, magari in altre vesti, come accade a Tonina - una tostissima Anna della Rosa - serva irriverente nei confronti del padrone, ma anche materna e affezionata ad Angelica, la figlia di Argan. Personaggio importante, quello di Tonina, per riflettere anche su quanto poco sottomesse o stupide siano (certe) donne, nella finzione come nella realtà, a dispetto di quello che (certi) maschi vorrebbero. Impossibile poi, per ragioni di spazio, menzionare tutti gli interpreti, ma non si può non dire che la qualità del cast è eccellente; tra tutti, oltre ai già citati Dix e della Rosa, un plauso va a Francesco Brandi, al suo debutto in teatro, nei panni di un buffissimo Tommaso Purgon, un giuggiolone senza grazia, a cui però nessuna donna potrebbe mai resistere: l’invito ad un’autopsia, un “esperimento giocoso” si capisce, è d’altronde quel che si dice espressione di un corteggiamento appassionato.

Visto il 12-02-2015