Approdata il 9 dicembre al Teatro Elfo Puccini di Milano, Il Mare vi resta, con sala quasi da tutto esaurito fino al 9 gennaio prossimo. Lo spettacolo, estratto dalla raccolta di novelle ‘Il mare non bagna Napoli’ di Anna Maria Ortese, ci offre alcuni deliziosi quadretti, un po’ sulla falsariga dei ‘Sillabari’ di Goffredo Parise che l’artista fiorentino aveva messo in scena un paio di stagioni fa. Il sistema è il medesimo ma stavolta i suoi quattro ‘ballerini’, i bravissimi Mauro Barbiero, Fabrizio Casagrande, Alberto Gamberini e Giovanni Siniscalco, hanno del tutto diritto di parola e compongono i siparietti alternandosi a quelli, quasi sempre cantati o monologanti, del geniale Paolo Poli.
Con la sua laurea in letteratura francese, l’attore e regista non ha mai smesso di deliziare il pubblico al quale si rivolge da oltre mezzo secolo con toni brillanti e istrionici, mescolando pungente ironia e una garbata comicità. Calombour, doppi sensi, poesia surreale, tutto in Poli esprime quel certo non so che capace di attrarre l’intelligenza e rendere nostalgici di una realtà ancora viva ma che appare sempre più lontana dall’ordinaria realtà, colma di volgarità e idiozia comune.
La bravura nell’aver scelto per molti anni uno scenografo come Emanuele Luzzati, scomparso proprio tre anni fa a Genova, fa sì che l’impianto scenico proponga un continuo cambio di fondali colorati e perfettamente aderenti ai soggetti, sempre mutevoli ma simili, mostrando la grande ricchezza di espressività e lo stile personale che ha segnato Luzzati, divenuto non a caso uno degli artisti più ammirati del nostro tempo. A quelli si affiancano i fantasiosi costumi di Santuzza Calì, indossati con lussurioso piacere dagli artisti che calcano il palco. Paolo Poli ha l’andatura della grande star del varietà, canta in francese muovendosi poco poco, a tempo, abbozzando gesti contenuti e indossando abiti e parrucche perfette.
Ieri sera, al suo debutto milanese, il grande artista si è tranquillamente concesso di impappinarsi e innervosirsi con un paio di battute fulminee rivolte al pubblico, che sembra bere dalle sue labbra un nettare divino e lo ha applaudito senza sosta a ogni fine siparietto, come ai tempi dei gran varietà. I racconti prescelti sono stati scritti dalla Ortese tra gli anni ’20 e i ’70 e sono piccole tragedie o melodrammi rivissuti attraverso lo sguardo onirico e immaginario del protagonista, che tutto dirige.
C’è la storia delicata dell’uomo che, malato terminale, scopre di aver ricevuto una lauta eredità. O quella della bambina che non vedeva ma, una volta indossati gli occhiali tanto desiderati, crede di impazzire perché vede troppo bene la sporcizia e le brutte persone che la circondano. La speranza di partire e andare oltreoceano, il sogno di Parigi e la vita reale intorno a Napoli, fra povertà e paure, sono alcune delle storie che cedono il passo alle canzoni di un Poli che non perde mai la bussola e fa emozionare.
Gli spettatori della prima hanno goduto di tre uscite fuori scena a fine spettacolo, con poesiole d’epoca colme di doppi sensi; un Poli stanco e accaldato, senza parrucca nè gioielli, è rimasto così in costume ad omaggiare i presenti, tantissimi. Tra i quali ho intravisto gli stilisti Ottavio Missoni e Mariuccia Mandelli, alias Krizia, oltre al critico d’arte Flavio Caroli dalla bianca chioma e molti altri, fra personaggi dello spettacolo, della moda e dell’arte. Vedere Paolo Poli è come andare sulla tour Eiffel: forse sai cosa aspettarti ma ogni volta è diverso, divertente e piacevole.