Il metodo Gronholm
Di Jordi Galceran
Qualche anno fa a Madrid fu ritrovato in un cassonetto un fascicolo contenente domande di assunzione per una catena di supermercati. L’impiegato, addetto alla selezione del personale, si era arrogato il diritto di manifestare il suo potere apponendo su ogni Curriculum Vitae il suo giudizio, razziata, xenofobo e crudele. La possibilità di poter decidere a chi concedere un lavoro, aveva dato a quest’uomo, la libertà di pensare e scrivere delle bestialità sul conto dei candidati.
E’ questo il punto di partenza utilizzato dall’autore de “Il metodo Gronholm”.
Sul palco, all’aprirsi del sipario, prende forma una stanza fredda, impersonale, tutta bianca con strane finestre dai vetri blu, all’interno vi sono un tavolo e delle sedie, anche dell’acqua con dei bicchieri per rinfrescare le gole asciutte dei candidati.
Di lì a poco la scena si popolerà di quattro persone, per la precisione tre uomini e una donna, i quali sono gli ultimi di una lunga selezione e aspirano ad un incarico manageriale all’interno di un’importante multinazionale. La selezione è ormai alle prove finali, i criteri di eliminazione sono veramente devastanti, si giocherà fino allo sfinimento, i quattro candidati saranno posti di fronte a situazioni che potrebbero verificarsi nella vita normale evidenziando così, con la metafora del gioco, la vera natura delle loro relazioni umane.
Il criterio suggerito dalla regista è in questa pièce quello di portare fino all’estremo i ruoli dei personaggi del Metodo Gronholm poiché, in un ipotetico colloquio di lavoro, non importa chi siamo né tanto meno come siamo, l’unica cosa che conta è l’opinione che gli altri si fanno di noi, ciò che gli spettatori, della nostra vita, traggono dalla nostra apparenza. E proprio questo è quello che faranno i protagonisti dello spettacolo, evidenziando nel corso della prova i loro sentimenti, le loro passioni, il loro sguardo sul mondo. Così impareremo a conoscere i candidati, le loro paure e le loro esperienze, giungendo insieme a scoprire chi sarà l’ideale candidato. L’eliminazione avverrà in modo naturale, rimarrà in fine solo un personaggio aspirante al ruolo, ma questo non sarà diretta conseguenza della sua assunzione.
La realtà non è sempre come la si vede e il ruolo, che per diritto spettava al vincente, non sarà da lui conquistato perché le prove non finiscono mai e la maschera, che il candidato ha assunto per farsi vedere forte di fronte all’esaminatore, a nulla vale quando in realtà si è altro.
Lo spettacolo è veramente interessante e ben giocato, le tecniche rappresentate sul palco fanno parte realmente di manuali specialistici nella materia di assunzione e selezione del personale. Tutto ciò che accade in scena è coinvolgente e comico all’inverosimile.
Gli attori, tutti in grado di farci scoprire pregi e virtù dei loro personaggi con ironica simpatia, riescono con accurata precisione a mostrarci l’interno di un colloquio di lavoro, così come in altre vesti anche a noi è capitato di viverlo. Magari i metodi non sono dei più tradizionali ma la cosa che ci deve più colpire non è il metodo in sé, ma l’idea che motiva il metodo, cioè quella di sottoporre delle persone inconsapevoli ad un colloquio, dove non si espongano i propri titoli ma per una volta si facciano vedere le qualità personali e la capacità di porsi in modi differenti di fronte a situazioni differenti che siano queste culturali, religiose o sessuali. Forse con questo metodo si otterrebbe una migliore qualità del personale all’interno delle società.
Visto il
al
Odeon
di Molfetta
(BA)