Esiste un momento di sospensione dal tempo della rappresentazione, racchiuso in quei brevi istanti tra l’entrata in scena dell’attore e la prima battuta; in quegli attimi di concentrazione, si può cogliere la forza della presenza scenica dell’interprete o percepire un momento di vuoto se il protagonista entra in palcoscenico senza un pensiero forte per sostenere la sua interpretazione. Ma non è certo questo il caso di Mariano Rigillo, in scena al Teatro Mercadante con l’opera radiofonica Il mio cuore è nel Sud, ballata in versi e prosa di Giuseppe Patroni Griffi: in quei pochi istanti, resi subito vivi, Rigillo cattura immediatamente l’attenzione del pubblico come se la storia avesse già avuto inizio ancor prima del suo ingresso in scena, e noi fossimo in attesa di ascoltare e “vedere” il racconto. Con la sua sapiente tecnica, Mariano Rigillo trascina il pubblico in quelle città del sud, di tutti i sud del mondo, “dove la gente impazzisce prigioniera d’amore” e “solo il mare, alle volte, odora”.
A dieci anni dalla morte del regista partenopeo, “Il mio cuore è nel sud” è il secondo appuntamento del ciclo di cinque spettacoli del progetto Storie naturali e strafottenti, ispirato alla commedia del 1974 dello stesso Patroni Griffi “Persone naturali e strafottenti”, al quale quest’anno è dedicata la rassegna di teatro e letteratura promossa dallo Stabile di Napoli a cura di Luca De Fusco. Nella doppia veste di regista e attore, Mariano Rigillo rende omaggio a “Peppino”, conosciuto nel 1966 mentre interpretava “Androclo e il leone” di George Bernard Shaw, e regala al pubblico anche alcuni versi tratti da “Prima del silenzio”, scritto da Patroni Griffi nel 1971. “Il mio cuore è nel sud” fu trasmesso per la prima volta dalla RAI di Napoli nel marzo del 1950 con le voci di Roldano Lupi, Ubaldo Lay, Lia Curci, Maria Facconi, Angelo Calabrese, la regia di Anton Giulio Majano e l’Orchestra Sinfonica della RAI diretta dal maestro Bruno Maderna, autore della partitura, il quale fu sollecitato da Alessandro Piovesan a scrivere le musiche per il nuovo genere radiofonico.
Il risultato fu quello di amalgamare le parole del testo con i ritmi blues, jazz e del boogie-woogie. L’opera è ambientata in una non definita città del sud, pigra e livida. La vicenda, che si consuma tra le mura di casa evidenziando la dimensione sociale degli strati più emarginati della società, segue la storia della giovane Dolores che, catturata dal fischio di un detenuto proveniente da una finestra del carcere, cede alla pazzia, preda di un profondo turbamento dal quale non farà più ritorno (“Non sono malata, non sono malata, è il mio sangue che non ragiona”). In una realtà alterata che ha i colori ed i suoni ed i profumi ormai lontani da quelli che erano stati fino ad allora i suoi giorni, la donna respinge infastidita le carezze del marito Ciro, netturbino, le cui mani ai suoi occhi hanno perso candore. A nulla valgono le parole della sorella di lei, Assunta, che tenta di ricondurre entrambi alla ragione, ed in un ritmo palpitante di azioni concitate, il dramma culmina con la morte del detenuto assassinato da Ciro.
In scena anche Anna Teresa Rossini, Ruben Rigillo, Antonio Izzo e Silvia Siravo, la quale ultima non è sembrata però in linea con la giusta e misurata interpretazione degli altri attori, scegliendo la strada di un eccessivo pathos per rappresentare la follia di Dolores. Interessante e riuscita, la scelta di far eseguire le musiche dal vivo dall’Orchestra del Teatro San Carlo diretta da Maurizio Agostini e dalle voci soliste di Elsa Ascione e Antonella Cozzolino, mentre le scene di Luigi Ferrigno hanno saputo ben accompagnare l’atmosfera dello spettacolo, insieme con con i costumi di Zaira de Vincentiis e le luci di Gigi Saccomandi.